Canapa, una risorsa ecologica e multiuso

Canapa

Intervista a Werther Cigarini di Pro Canapa

Quando nasce l’idea del progetto Pro Canapa?

All’inizio del 2022 si costituisce il Comitato pro canapa. L’obiettivo non è tanto quello di realizzare un progetto di filiera – piuttosto prematuro – ma promuovere la conoscenza della canapa e dei suoi numerosi utilizzi e applicazioni in settori industriali e manifatturieri, in primo luogo nel settore tessile – Carpi è infatti al centro di un distretto della moda che era e in parte ancora è uno dei più importanti d’Italia – e in quello edile. La prima iniziativa è stato il convegno rivolto ad associazioni, imprese, amministratori pubblici e cittadini dal titolo “Canapa: una risorsa per il futuro”. Al quale sono seguiti incontri diretti con i potenziali stakeholders. Certo: l’obiettivo finale è quello di creare le condizioni per dare vita, con investimenti pubblici e privati, ad una filiera territoriale della canapa completa dalla coltivazione in campo al prodotto finale che metta a disposizione degli operatori economici i materiali da utilizzare nelle proprie attività produttive: fibra per il tessile e canapulo per la bioedilizia.

In che senso possiamo dire che la canapa fa bene all’ambiente?

La canapa è in sé una pianta ecologica. La scienza ci dice che questa pianta cattura CO2 più degli alberi e cresce in soli quattro mesi. In più rigenera terreni esausti o li bonifica. Ma soprattutto può fornire derivati che sarebbero preziosissimi per accompagnare la transizione ecologica e la decarbonizzazione – considerati unanimemente processi necessari ed urgenti – in molti settori produttivi altamente inquinanti. Soprattutto in un Paese ad alta densità manifatturiera come l’Italia. Se fossimo un Paese avveduto, a tutti i livelli, dovremmo predisporre un piano nazionale di produzione e trasformazione della canapa. Rapidamente.

Perché la filiera della canapa permette di riutilizzare tutto?

Della canapa non si butta via nulla. E fornisce un materiale altamente biodegradabile. Utilizzabile in molti settori. Tessile e edilizia certamente, ma anche per le bioplastiche, la farmaceutica, la cosmetica, l’alimentare, le cartiere e persino per realizzare carrozzerie per auto o per sostituire il grafene. Un capo di abbigliamento, per esempio, realizzato con fibra di canapa (o altre fibre vegetali come ginestra, ortica ecc.) oltre a garantire maggiore benessere fisico, una volta concluso il suo ciclo può essere buttato tra i rifiuti organici senza provocare danni all’ambiente, come accade invece con i capi realizzati con fibre sintetiche, di origine fossile, che sono quelle maggiormente utilizzate in particolare dal cosiddetto fast fashion.

Siete riusciti ad accedere a finanziamenti pubblici, come quelli connessi al Pnnr?

Non essendoci un progetto di filiera pronto, non abbiamo chiesto finanziamenti pubblici del Pnrr o simili. Grazie al Comitato e alle relazioni sviluppate in questi mesi, è stato messo a punto e presentato un progetto di ricerca e sperimentazione per un finanziamento regionale (bando PR-FESR laboratori 2023.24: ricerca, innovazione competitività). Il progetto, che mira a sperimentare un bioreattore industriale per l’estrazione della fibra e del canapulo, ha ottenuto un contributo di 500 mila euro ed è in fase di realizzazione. Se i risultati saranno positivi in termini di qualità del prodotto e di tempi – e quindi costi – del processo di macerazione-stigliatura con bioreattore ed enzimi, noi riteniamo che ne deriverà un forte impulso alla realizzazione della filiera.

Quali sono le resistenze culturali a progetti di questo tipo?

Più che di resistenze parlerei di ignoranza e quindi di inconsapevolezza delle potenzialità offerte dalla coltivazione e trasformazione della canapa. Fino agli anni cinquanta dell’altro secolo l’Italia era il secondo produttore di canapa dopo la Russia per quantità, ma il primo per qualità. Abbandonata o travolta dall’ingresso sul mercato dei materiali di origine fossile. Non è rimasto nulla, neppure la memoria. Delle sue eccezionali qualità ecologiche. Bisogna ricostruire tutto da capo: informazione, formazione, tecnologie, macchinari per la raccolta. Tutto. Alcuni paesi europei si stanno muovendo e possono fornire esperienze da replicare anche qui da noi, Come ho già detto, dovremmo essere il paese più interessato al suo sviluppo per dare impulso alla transizione ecologica ed invece siamo in ritardo. Se non ora, quando?

Se dovesse scegliere tre parole per definire l’economia circolare, quali userebbe?

Direi: sostenibilità per l’ambiente; decarbonizzazione dei cicli produttivi e benessere per la cittadinanza che consuma.

 

NB:  il post non è soggetto di sponsorizzazione e/o di affiliazione con i soggetti titolari intervistati, l’intervista e i contenuti sono di pura divulgazione e informazione.