Metti in bilancio anche l’ambiente. E’ un obbligo. (III)

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Passiamo alla terza parte (finale) della intervista alla professoressa Federica Doni e al dottor Andrea Gasperini. In questa parte parliamo dei problemi che le aziende ed i commercialisti avranno ad applicare le nuove regole sulla redazione del bilancio inserendo anche criteri extraeconomici come per esempio quelli ambientali.

D- Mi viene in mente chi era il commercialista che faceva i bilanci;  la figura che li farà adesso sarà diversa da quella di prima.

R (Doni) – Infatti anche la categoria dei commercialisti si interessa. Al nostro incontro del 3 maggio 2017 sui rischi climatici alla Bicocca c’era anche un dottore commercialista che è venuto al nostro incontro e per conoscere queste tematiche … per il suo lavoro, la sua professione. Anche gli interessi del commercialista probabilmente si stanno evolvendo. 

D-Io mi sono occupato di commercialisti. In genere sono schiacciati da una serie di adempimenti,  lo Stato li maltratta in maniera vergognosa.  Non che io voglia difenderli, hanno le loro colpe per carità. Però lo Stato li ha caricati di una serie di adempimenti telematici via via crescenti. Ci sarà una pattuglia di commercialisti – forse quelli più giovani che potranno acclimatarsi – passatemi il termine – con questi adempimenti. 

R (Doni) – Credo che dovranno. E come nell’economia darwiniana la specie più forte sopravvive.

D – E’ importante capire chi possa farlo; probabilmente occorre stipulare degli accordi con delle associazioni di commercialisti, invitarli.

Bene, io alcune cose le ho capite. C’è qualche altro aspetto da affrontare?

R (Doni)-Potremmo puntualizzare in maniera più precisa il contenuto del convegno del 3 maggio. Il punto di forza è che abbiamo unito le due prospettive: la prospettiva delle aziende e quella della finanza. Cioè la tematica dei rischi climatici e delle strategie degli investimenti socialmente responsabili. Quindi al di là di un inquadramento iniziale – che  ha fatto il professor Nicolazzi al mattino sulla tematica tecnica e relativa alle risorse energetiche – poi la cosa più interessante del convegno sono state le due tavole rotonde. La prima quella con gli appartenenti del mondo della finanza (al mattino) e poi nel pomeriggio con manager di grandi aziende che si occupano direttamente degli aspetti ESG (Environmental Social Governance) all’interno delle aziende. Sono intervenuti veramente molti relatori – più di venti – che hanno parlato della loro esperienza. C’è stato uno scambio di idee e di commenti nell’ambito di queste due tavole rotonde. Quindi ci auspichiamo che le informazioni trasmesse a tutti i partecipanti abbiano chiarito e approfondito questa tematica che per alcuni potrebbe essere qualcosa di distante dal mondo del business aziendale. Occorre anche chiarire il concetto di corporate social responsability  per come è nato il passaggio dallo share holder allo stake holder;  alcuni  forse lo vivono ancora come legato a concetti più di etica e filantropia che di filosofia aziendale. Invece il nostro sforzo è stato quello di renderlo più vicino al business aziendale e quindi a un mondo bene o male legato al profitto. E’ bene che si diffondano tali concetti nella cultura aziendale che poi si rafforzerà nel futuro in una sorta di circolo non vizioso ma virtuoso.  In altri termini c’è una risposta forte degli investitori nel vedere che le aziende sono sensibili verso tematiche ambientali e sociali e comunque si avverte un’attenzione particolare anche alle pratiche di governance. Allora se il mondo degli investitori accoglie favorevolmente questa condotta, si rafforzano sempre più le due prospettive, della finanza e delle aziende. Queste adesso viaggiano assieme e la speranza è che in generale il mondo del business che dovrebbe avere una visione esclusivamente di breve termine finalizzata al raggiungimento di profitti si renda conto che l’aver adottato determinate tecniche politiche aziendali – che parzialmente sono anche quelle che dall’anno 2017 richiede il Decreto legislativo 254/2016  – possono avere un riscontro sui mercati finanziari.  Ma non solo. Oltre naturalmente a un beneficio a carattere generale in termini  di reputazione aziendale che chiaramente non si può vedere nell’immediato. Adottando nuove politiche e strategie aziendali non sarà più una prospettiva del breve termine. Sarà naturale pensare che da certe tematiche ambientali e sociali forse si potrà generare un ritorno in termini di profitti e di redditività soltanto tra dieci anni. E allora l’imprenditore può essere più scoraggiato dal  decidere di attuare determinate tipologie di investimenti – che poi sono costi – e svolgere della comunicazione idonea ma ancora di più dall’adottare queste pratiche all’interno dell’azienda. Ma i risultati arriveranno.

D- Avevo letto che ci sono dei green bound che hanno fatto questo ragionamento che è più valido per l’estero. Queste società di investimento che scelgono solo società verdi hanno rilevato che tali aziende danno profitti maggiori – in media – di quelle normali, sono più produttive  (hanno meno cause …) cioè complessivamente hanno una reputazione più alta e quindi possono generare dei rendimenti più alti. 

R (Doni)- C’è un filone che va avanti da tempo e che però finora ha portato a dei risultati diciamo misti. A volte le elaborazioni statistiche portano a dei risultati in alcuni casi positivi – perché  si riesce a dimostrare che c’è una correlazione virtuosa tra investire in ambiente e nel sociale e ottenere maggiore redditività.  Altre volte non c’è significatività statistica, sembra che non ci sia correlazione. Altre volte addirittura si potrebbe trovare una correlazione negativa. Quindi i risultati sono ancora incerti, però è necessario puntualizzare che sono il frutto di elaborazioni statistiche che possono avere anche dei punti di debolezza. Occorre fare degli studi utilizzando modelli di regressione: sostanzialmente sono modelli sui quali incidono determinate variabili e alcune volte queste possono essere trascurate o magari si inseriscono delle variabili di controllo che non sono le più opportune. E’ vero che si sta parlando di strumenti che, per quanto scientifici, possono avere dei punti di debolezza e delle limitazioni. Però  ritengo che siano comunque utili in quanto indispensabili per condurre ricerche su una rilevante mole di dati che producano risultati da osservare nel corso del tempo.

 D- Visto che ci sono poi questi fondi – non da tanto – vediamo che risultati danno, al di là della ricerca e capiremo se funzionano oppure se sono una pia illusione. 

R (Doni)- Si può lavorare anche su altri strumenti finanziari, gli ETF (NDT: Exchange Traded Funds)

D- Lei sa che troppa informazione equivale a nessuna informazione…

R -(Doni) l’accademia non si prende questa responsabilità. Ci sono degli standard abbastanza autorevoli, però non sono definitivi.  Una delle criticità del decreto legislativo ma anche delle direttive della Commissione Europea è stata proprio quella di non dare una indicazione precisa dello standard o delle guideline a cui le aziende devono ispirarsi. 

D- Le aziende devono un po’ arrangiarsi.

R (Doni) – Diciamo che il legislatore è rimasto un po’ nel vago.  Nella Direttiva vengono nominate quelle più importanti però addirittura nel decreto legislativo viene indicata la possibilità per l’azienda di ‘costruirsi’ una sua metodologia autonoma. Questo ha lasciato un po’ tutti molto perplessi perché – oltre al fatto che esistono già numerose guideline e di standard – dare la possibilità a un’azienda di costruirsi dei suoi indicatori è un po’ eccessivo a mio parere. Del resto di indicatori ce n’è già un mare magnum per cui,  a chi deve leggerli e interpretarli, a questo punto, si creano dei problemi di non poco conto. 

D-Sembra un po’: la legge fattela tu.

R (Doni) – E’ stata introdotta l’obbligatorietà di comunicare informazioni a carattere non finanziario che fino a questo momento non c’era. Erano lasciate esclusivamente alla volontà del redattore del bilancio e quindi… Questo è un passaggio fondamentale in Europa. Altri paesi si erano già un po’ mossi mentre l’Italia e gran parte dell’Europa erano  rimaste un pochino ferme su questi temi. Però non è stata data un’indicazione (precisa). Secondo me molte aziende avrebbero preferito avere un’indicazione abbastanza rigida  perché questo avrebbe semplificato l’utilizzo di un supporto operativo e quindi la conseguente comunicazione a carattere non finanziario. Questo avrebbe anche facilitato l’attività di revisione, per tutta l’attività di certificazione esterna su questa tipologia di informazioni.

D- Le aziende vogliono avere delle indicazioni precise.

R (Doni) – E poi la richiesta coincide, guarda caso, con la stessa scadenza prevista per la presentazione dell’Annual Report.  Questo complica tantissimo la gestione della redazione di queste informazioni pur considerando che non sono poi così numerose quelle che sono richieste dal decreto. Però si aggiungono già all’obbligatorietà classica di redigere il bilancio che continua a rappresentare un elemento fondamentale.  Invece la cosa migliore sarebbe stata quella di lasciare un intervallo temporale tra la scadenza del deposito del bilancio e quella della produzione della dichiarazione a carattere non finanziario. 

D- Lei dice che sarebbe stato meglio scindere le due cose. 

R (Doni) – Secondo me sì. Averle unite come obbligo di scadenza, cioè il deposito di questa documentazione crea problemi per coloro che dovranno materialmente redigerle. Invece separare le due scadenze avrebbe dato un po’ più di respiro. Poi vedremo cosa succederà l’anno prossimo perché questo è il primo anno di adozione; bisognerà un pochino vedere. Può darsi anche che il governo emetta una proroga.  Succederà qualcosa perché le aziende ce l’hanno apertamente dichiarato. Loro  vivono questa scadenza-obbligo in maniera molto preoccupata.  Perché una situazione ben diversa è il caso di un’azienda che già lo faceva e  ha solo un minimo di lavoro per riformularla nei termini richiesti dal legislatore. Ma chi non faceva niente – e comunque se faceva qualcosa lo faceva in maniera artigianale – ora si trova un obbligo, tra l’altro sanzionato. A questo punto la cosa si complica ma anche in termini di sistemi informativi  è necessario che un soggetto sia direttamente preposto alla redazione di queste informazioni.

D- Ripeto: i grandi gruppi aprono uno staff o prendono degli specialisti e poi questi fanno su misura. 

R- (Doni) preparano dei ‘pacchetti’ di sistemi informativi ‘ad hoc’. 

D-Adesso non si possono più saltare. Io avevo letto sul Sole che l’imprenditore italiano a livello di studi è tra i più bassi d’Europa. L’imprenditore specie lombardo ‘impara facendo’. 

R- (Doni) – Per adesso stiamo raccogliendo e analizzando tutti i risultati che sono emersi.

D-Qual è la cosa che non vi aspettavate?.

R (Doni)- Secondo me c’è stata una grande partecipazione, anche se purtroppo non c’è stata poi una grande attività di sensibilizzazione da parte nostra. La notizia del convegno è apparsa su tutte le principali testate giornalistiche e anche un giornale come il Sole 24 ore ci ha dedicato un articolo. E, tra l’altro il giornalista del Sole 24 Ore ha intitolato che  il Motore Green nel mondo della finanza ha destato la maggiore attenzione. L’articolo ha sottolineato che chi ha dimostrato più interesse al tema sono stati gli ordini religiosi.  Il fatto che il giornalista abbia dedicato l’articolo al nostro convegno  è una cosa che sinceramente mi ha stupito anche se ci eravamo accorti di questo interesse da parte del mondo della finanza cattolica verso il green. L’aspetto green emerge con forza rispetto a tutti gli altri.

D-Sui fatti generali non ci sarebbe da discutere (a parte Trump). Penso che un grande disastro sia stato quello dei bilanci trimestrali. Se un manager deve avere dei risultati così a breve allora farà di tutto per raggiungerli in fretta. Non si metterà certo a badare al clima etc. D’altra parte invece anche i grossi nomi delle aziende internazionali più illuminate mettono una parte delle loro risorse su questi temi e in questo modo si perpetuano. Questa è la strada.

(fine)

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