COP24: una convenzione senza infamia. Ma anche senza lode.

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Si è svolta dal 4 al 13 dicembre 2018 a Catowice in Polonia, la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP24 dell’UNFCCC acronimo di United Nations Framework Convention on Climate Change). La conferenza aveva molti obbiettivi solo in parte raggiunti. Prima di tutto si trattava di attuare con urgenza l’accordo di Parigi che ha visto purtroppo l’abbandono degli Stati Uniti.                                                                                                                                Poi si trattava di limitare il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2° C.

Ma c’era un alto tema molto rilevante: assicurare una ‘giusta transizione’ verso un’economia a basse emissioni di carbonio. Soffermiamoci un attimo sul termine ‘giusta transizione’ usato dal dott. Ajay Gambhir ricercatore senior all’Imperial College di Londra, Grantham Institute Climate Change and the Environment. Secondo lui questa formula è la chiave per assicurarci un futuro sostenibile, resiliente e a basse emissioni di carbonio.
A quest’ultimo proposito i dati purtroppo non sono incoraggianti perché le emissioni di anidride carbonica – dopo tre anni di stasi – hanno ripreso a crescere a partire del 2017. Naturalmente il passaggio a un’economia come quella attuale – basata ancora sul fossile – a un’altra caratterizzata da basse emissioni di carbonio non è né semplice, né poco costoso, né indolore. Occorrerà lo sviluppo di industrie verdi anche di grandi dimensioni che utilizzeranno energie rinnovabili. Queste saranno caratterizzate da efficienza energetica, tecnologie e pratiche di trasporto e di riscaldamento alternative e un’economia più circolare con meno spreco di risorse. Parallelamente però si verificherà il declino di alcune industrie legate al fossile. Abbiamo già visto forti impatti nel settore delle miniere di carbone, in crisi per via del passaggio al gas e alle energie rinnovabili. Un approccio olistico al problema deve allora considerare anche i contraccolpi dal punto di vista occupazionale che si sono verificati in seguito alla chiusura di miniere prevedendo, per esempio,  l’impegno a riaddestrare e reimpiegare  le maestranze disoccupate. Il concetto di ‘opportunità per tutti’ è allora l’essenza di una transizione giusta. Per questo è importante che gli enti governativi e i gruppi industriali favoriscano lo sviluppo delle industrie verdi – che comunque creeranno nuova occupazione – e sostengano la trasformazione di quelle fossili. Altre trasformazioni del genere si sono verificate in passato, quando sono state chiuse le industrie più inquinanti o pericolose come quelle dell’amianto. Si può attingere allora da quelle esperienze. Per tornare ai lavori della convenzione ricordiamo che si sono svolti ben 17 eventi, affrontando temi diversi, dalle emissioni al sistema energetico, con speech di illustri relatori. L’elenco completo è pubblicato sul sito dell’Imperial College London – Grantham  Institute. Concludiamo rispondendo a una (probabile) domanda del lettore? Ma alla fine questa convenzione è stato un successo o no cioè è stata benefica o no per ambiente? Risposta: alla fine un compromesso è stato raggiunto tra le 198 nazioni presenti. E, in sostanza, il processo avviato con l’accordo di Parigi va avanti per diventare esecutivo tra due anni. Certo, tutte le questioni più spinose sono state accantonate. Però, visti i tempi, accontentiamoci. Insomma il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto  a seconda dei punti di vista. Ma poteva andare anche peggio.