Continua la nostra rubrica sulla mobilità sostenibile. Questa volta parliamo di Biogas-Biometano.

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Una recente ricerca in ambito internazionale ha confermato che una delle sostanze climalteranti e di maggior peso per il riscaldamento globale è il metano emesso in atmosfera.

Immediatamente la mente corre alla recente manifestazione a cui ho assistito in una città emiliana.  Durante la protesta la circonvallazione della città è stata intasata per circa 4 ore da trattori di agricoltori che manifestavano contro la realizzazione di un impianto a biogas per il trattamento dei rifiuti urbani e la produzione di biometano da sfruttare per autotrazione.

Motivo della protesta era la preoccupazione degli agricoltori della zona per la dimensione dell’impianto e per l’inquinamento che consegue alla sua realizzazione.

Gli agricoltori infatti, sobillati da comitati e politici locali che subito hanno cavalcato il malcontento per i loro scopi, si opponevano per timore che ci fossero emissioni inquinanti nelle aree vicine e per il traffico di veicoli per il trasporto dei rifiuti, oltre che per il parmigiano reggiano a causa degli sporigeni presenti nei prodotti organici.

Oltre al fatto che protestare contro l’inquinamento ambientale inquinando mi pare una contraddizione, restano da dimostrare le tesi sostenute a sfavore dell’iniziativa.

Gli agricoltori e i politici-comitati di supporto sostengono infatti che l’impianto presenta ciminiere con importanti emissioni e che sarebbe meglio compostare i rifiuti piuttosto che digestarli per produrre il metano.

Premesso che questo tipo di impianti non prevede ciminiere ed emissioni di gas combusti in atmosfera, se non una piccola torcia nel caso di rari malfunzionamenti, giova ricordare  che il compostaggio è un trattamento aerobico per cui  il solido organico attraverso opportuna ventilazione subisce una reazione che lo porta ad assumere la caratteristica di fertilizzante, atto per essere sparso sui terreni di coltura, mentre la frazione gassosa del rifiuto organico si disperde nell’ambiente, inquinandolo inevitabilmente, favorendo  così la  diffusione  di eventuali spore.

A questo proposito chi tra i padani, soprattutto emiliani e un poco attempati, non ricorda il “profumo” che viene/veniva dai campi a fine estate per effetto dello spandimento di letami e liquami di concimatura? Anche lì il materiale organico veniva lasciato decomporre all’aperto, con emissione della frazione gassosa in ambiente ed equivalente rischio di diffusione sporigeni.

Un’altra obiezione si riferisce alla dimensione dell’impianto, tale da comportare il ritiro di rifiuti da più province dell’Emilia. Ma è evidente come sia anti-economico creare un impianto per ogni comune-provincia e che anche in Italia, perché le cose funzionino, ci dobbiamo attenere non solo alla sostenibilità ambientale, ma anche a quella economica.

La ragione prima dell’opposizione come sempre è l’inerzia/resistenza al cambiamento, perché noi vogliamo che si gestiscano i rifiuti organici senza cambiare nulla e soprattutto non nel  nostro cortile (Not In My Backyard – NIMBY dicono gli inglesi).

Di recente la manifestazione si è ripetuta e con alcuni giovani protestanti dall’aspetto sveglio ho intavolato un discorso per capire quali fossero le motivazioni.

Dopo alcune dissertazioni sugli argomenti sopracitati è emerso che la preoccupazione ultima riguardava l’utilizzo di tecniche di pulizia del rifiuto che non consentivano la rimozione di plastiche rendendo inutilizzabile il solido di risulta  e la presenza di sporigeni che potrebbero danneggiare la produzione di Parmigiano – Reggiano.

Obiezione alla quale la multi-utility per la plastica ha opposto una replica debole, che il materiale sarebbe stato portato fuori zona, mentre le autorità preposte hanno affermato che le emissioni di sporigeni sono equivalenti a quelle dello spandimento attuale di liquami e letami.

Conclusa la discussione amichevolmente, con scambio di coordinate per eventuali successivi sviluppi, vorrei attirare ora l’attenzione su alcune riflessioni.

Il fatto che si tratti il rifiuto organico per sottrarre e utilizzarne la frazione gassosa (biogas), per successivo utilizzo come fonte di energia (elettrica o biometano) è cosa utile e meritevole, volta a sottrarre l’emissione sia dal rifiuto che dal combustibile fossile che sarebbe invece utilizzato per produrre energia (gas, petrolio, oli pesanti, carbone),  ottenendo così il minimo impatto ambientale e generando risultati economici per i realizzatori dell’impianto e per la comunità.

Occorre però far sì che anche le persone del territorio condividano il processo decisionale con un’informazione preventiva, evidenziando i benefici che derivano a loro e alla società tutta.

Se oltre a presentare i progetti nelle sedi opportune per ottenere dagli enti preposti (Provincia, Regione, ARPA e chi più ne ha più ne metta) le necessarie autorizzazioni si formasse la popolazione al netto delle strumentalizzazioni politiche, forse anche in Italia si potrebbero intraprendere politiche ambientali senza i diversi ostacoli e rallentamenti che ci caratterizzano.

Spetta a chi deve prendere certe decisioni  motivarle e dare le informazioni agli interessati elettori, assumendosi le responsabilità del caso.

I disagi devono essere compensati da benefici, i cittadini vicini all’impianto devono essere rassicurati che la cosa viene fatta per il bene comune incluso il loro. Cosa costava ai funzionari dire che il solido sarebbe stato pulito dai residui (plastica, vetro etc.) e che i veicoli di trasporto dei rifiuti sarebbero stati alimentati con il biometano prodotto, invece che con il gasolio dall’elevato impatto ambientale?

Poi c’è anche chi per interesse personale non vuole intendere e frappone continui ostacoli, ma a quel punto il mondo deve andare avanti, cosa che in Italia si fa troppo lentamente.

A proposito dell’utilizzo del biometano per autotrazione, è bene ricordare che la Strategia Energetica Nazionale presentata a Ecomondo 2018 prevede l’incentivazione dell’utilizzo del biometano come combustibile avanzato per raggiungere il quorum dei combustibili da energie rinnovabili previsti dalle direttive europee. Se infatti con l’energia elettrica da rinnovabili siamo a buon punto, con il 4% di combustibili da rinnovabili siamo ben lontani dal 10% previsto dalle direttive.

L’incentivazione è intesa a favorire la produzione dei bio-carburanti, ma anche il loro utilizzo sui veicoli, soprattutto su quei veicoli che non consentono altre forme di alimentazione a basso impatto ambientale.

Se infatti per i veicoli passeggeri è in atto ed è possibile l’elettrificazione allo scopo di ridurre le emissioni, per i veicoli pesanti le attuali tecnologie a batteria non consentono di prevedere, al netto di boutade pubblicitarie come quella di Tesla ed Elon Musk, la conversione del parco in camion elettrici a batteria.

Nel breve periodo diventa necessario e possibile guardare all’utilizzo del metano per i veicoli pesanti sia in forma gassosa (CNG-GNC) che liquida (GNL-LNG).

I costruttori di camion (i.e. IVECO, Scania, Mercedes) già da tempo lavorano sull’argomento e sono oggi in grado di fornire trattrici a metano gassoso o liquido a prezzi competitivi, garantendo al cliente risparmi importanti (40-50%) sul costo del combustibile.

Alcune flotte di trasporto, anche sulla spinta di importanti attori della grande distribuzione per convalidare la loro immagine di campioni dell’ambiente (I.e Carrefour), si stanno convertendo all’acquisto di camion a metano per il trasporto a breve-medio-lungo raggio, stanti le lunghe percorrenze che il metano liquido consente grazie al suo elevato contenuto energetico (superiore a quello del gasolio).

La rete di distribuzione del metano non è così capillare come si vorrebbe, ma, grazie agli incentivi statali anche in questo senso,  già si vedono diverse iniziative ed è da attendersi un rapido sviluppo.

Il futuro elettrico dei veicoli pesanti invece ripone le sue speranze nell’avvento dell’idrogeno e delle Fuel Cell (Fuel Cell Electric Vehicle -FCEV), che in maniera analoga a quanto fa il metano con i motori endotermici alimentano un motore, elettrico questa volta, con il pieno di gas fatto a una stazione di servizio. Dal tubo di scappamento esce solo vapore acqueo.

Rubrica a cura dell’ing Carlo Coluccio