CO2 e clima: un connubio stretto

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CO2, clima e la ricerca

Che cosa c’entra la CO2 con il clima? Per scoprirlo riprendiamo un interessante articolo di Nature a firma diJean-Robert Petit & Dominique Raynaud apparso nella sezione ‘in retrospect’. Il titolo è Forty years of ice-ore records of CO2 e cioè quarant’anni di rilevazioni della Co2 con il sistema della carota di ghiaccio.
Ricordiamo che una carota di ghiaccio (ice-core) è una sezione semicircolare di ghiaccio ricavata tramite carotaggio dei ghiacciai o delle calotte polari. La carota può fornire utili indicazioni sul clima del passato, dato che le nevi riportano numerose indicazioni su diversi parametri atmosferici, quali temperatura, composizione dell’aria, radiazione solare ed eventi straordinari come eruzioni vulcaniche. 

Un metodo utile per determinare il ruolo della CO2

Questo metodo – scoperto nel 1980 – è utile anche per determinare le quantità di anidride carbonica nell’aria di molto tempo fa intrappolata nel ghiaccio polare. Vengono così fornite delle prove dirette che la CO2 si accoppia al clima. Non solo: influenza le temperature globali nel passato, nel presente e nel futuro.
Vediamo come questo fenomeno si verifica esattamente, analizzando anche le diverse teorie scientifiche che hanno affrontato lo stesso problema. Nelle antiche calotte glaciali, vicino ai poli, minuscole bolle d’aria rimangono intrappolate negli strati compatti delle nevicate. Queste bolle costituiscono così una sorta di
archivio naturale dell’aria di epoche passate. Naturalmente non è semplice leggere questo ’archivio’ .Però quarant’anni fa il glaciologo Robert Delmas e dei suoi collaboratori hanno sviluppato una nuova tecnica per misurare – in modo affidabile – la anidride carbonica nelle bolle. Questa scoperta ha spianato la strada a
delle moderne misurazioni. Queste hanno dimostrato che i livelli atmosferici della CO2 sono collegati – da centinaia di migliaia di anni – alla temperatura terrestre.

La scienza non si ferma

Ma la scienza è andata ancora avanti. E infatti verso la fine del diciannovesimo secolo le scienziato svedese Svante Arrhenius ha stimato – attraverso calcoli – in che modo i cambiamenti nei livelli di CO2 possono influenzare la capacità dell’atmosfera di assorbire il calore del terreno invece di lasciarlo fuoruscire nello spazio. La sua conclusione è che le temperature più fredde durante i periodi glaciali risultano da una diminuzione di questo assorbimento. Si tratta in pratica di una teoria della serra (green house) che si contrappone alla tesi sostenuta da James Croll. Questo scienziato ritiene che i cicli di glaciazione derivano da cambiamenti nell’orbita terrestre. Tali fenomeni sarebbero amplificati da feedback naturali come ad esempio i cambiamenti della copertura nevosa. Questa teoria è stata ripresa e perfezionata da un altroscienziato, Milutin Milankovitch. Costui ha osservato le variazioni sottili nei movimenti della Terra e i conseguenti cambiamenti nell’ insolazione (luce solare in arrivo) a diverse latitudini. Questa teoria orbitale ha ottenuta una conferma dai registri di sedimento marini. Tali registri mostrano delle periodicità simili ai
parametri orbitali terrestri. La ricerca però continua.