Si possono evitare le microplastiche? Un sfida a tutti noi

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Fabiana Corami

Si possono evitare le microplastiche? Ce ne parla Fabiana Corami, ricercatrice del CNR.

D. Come si ‘esce’ dalle microplastiche? Ecodesign, riciclo, riduzione delle materie plastiche come materia prima per produrre merci e imballaggi?

R. Credo che non esista un’unica soluzione ma molteplici. In ambiente si ragiona in modo multidisciplinare. Sicuramente il riciclo è fondamentale. Disincentivare l’uso della plastica sì, se le soluzioni sono ancora sostenibili economicamente. Le soluzioni sostenibili lo debbono essere contemporaneamente per l’ambiente, per la società e per l’economia. Ho partecipato di recente a un convegno con studiosi di Singapore dove vogliono arrivare a emissioni zero entro il 2025 diminuendo lo spreco di cibo e plastica. Perché cibo e plastica? Il cibo comperato da asporto ha un’altissima produzione di rifiuti da imballaggi di plastica e non hanno spazio per le discariche. Poi siccome non hanno la raccolta porta
a porta ma in ogni condominio, a ogni piano, si apre una porticina e lì c’è lo scivolo dove getti i tuoi rifiuti. Manca pure la percezione di quanti rifiuti produci. Il problema è sentito. I rifiuti sono una risorsa. Bisogna parlare di riciclo, ma anche di upcycling, ovvero di recupero creativo e di riutilizzo adattativo dello scarto.

D. E’ stata approvata la direttiva UE sulle materie monouso. In parte bandisce l’uso del monouso e obbliga i produttori a una gestione completa del ciclo dei rifiuti. Le leggi ambientali servono a ridurre le emissioni di microplastiche nell’ambiente?

R. Le leggi ambientali sono importanti perché portano l’attenzione sulla salvaguardia dell’ambiente e della salute umana. Ambiente e salute umana sono strettamente collegati. Per
quanto riguarda gli inquinanti persistenti bisogna fare le leggi oggi per vedere effetti migliorativi tra qualche anno. Prendiamo per esempio la plastic soup (NDR – letteralmente la ‘zuppa di plastica’: è il termine con il quale si indica la presenza nei mari di pezzi piccoli o grandi di plastica) nel Mediterraneo; è nata anni fa ma oggi ne siamo ben consci. Oggi dobbiamo trovare soluzioni correttive per non inquinare e progettare azioni collettive di decontaminazione e recupero degli ecosistemi. Purtroppo il microscopico non lo percepiamo visivamente quindi non viene percepito come pericoloso. La sensibilizzazione avviene tramite la legislazione cioè con una comunicazione diffusa ed efficace verso i cittadini.

D. Come si recuperano, se si riesce, le microplastiche?

R. Le plastiche dai 5 millimetri in su quelle visibili, si recuperano ma serve anche l’industria che crei innovazione per recuperarle. Se scendiamo di dimensioni e parliamo di microplastiche il recupero può essere più difficile, soprattutto se parliamo di particelle inferiori a 100 micrometri (NDR – il micrometro è un’unità di misura che corrisponde a un milionesimo di metro). Ad esempio nella lavatrice non esistono filtri che riescano a catturare le microplastiche di queste dimensioni.
Però l’innovazione sta nel produrre i tessuti sintetici che non generano microplastiche durante i lavaggi o creare prodotti in grado di minimizzare la perdita di microplastiche durante il lavaggio.
Ci sono startup in Asia che hanno creato congegni da applicare alle ruote delle bici per raccogliere i frammenti dovuti all’usura del pneumatico, quindi per diminuire la immissione nell’aria di frammenti di plastica. Per recuperare le microplastiche bisogna intercettarle prima che finiscano nell’ambiente, nei terreni, nei fiumi e nei mari. Come si fa a recuperare le microplastiche negli oceani? Vanno resi più efficienti i sistemi di bloccaggio dei rifiuti e i sistemi di depurazione. E’ impossibile lavare l’oceano e quindi cancellare il passato.

D. Cosa devono fare gli scienziati?

R. Divulgazione a 360°, non soltanto nel mondo accademico ma verso e per i cittadini. In Italia siamo un po’ indietro su questo fronte, anche se qualcosa si muove a livello nazionale come ad esempio il Festival delle Idee e il Festival della Scienza. Però c’è bisogno di più eventi locali, legati al territorio e quindi alla comunità. Rimane ancora qualche ritrosia a partecipare a manifestazioni divulgative della conoscenza. Poi lo scienziato deve parlare sempre di più con il comunicatore, l’economista, il legislatore etc. Pensiamo ad esempio, alla qualità dell’aria che è importante per tutti noi. Perciò le scienze ambientali devono essere multidisciplinari e trasversali per poter educare alla
sostenibilità ambientale, contribuendo con una divulgazione corretta, attiva e partecipata.

NB:  il post non è soggetto di sponsorizzazione e/o di affiliazione con i soggetti titolari intervistati, l’intervista e i contenuti sono di pura divulgazione e informazione.