Cos’è il greenwashing

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Non è facile dare una definizione di un termine che oggi è sulla bocca di molte persone. Da un punto di vista tecnico scientifico non c’è una definizione di greenwashing, ad esempio IPCC (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) e IPBES (piattaforma intergovernativa di politica scientifica sulla biodiversità e i servizi ecosistemici) non inseriscono il termine nel loro glossario.

Sulla enciclopedia Treccani leggiamo, invece, senza troppi giri di parole, che il greenwashing è una “strategia di comunicazione o di marketing perseguita da aziende, istituzioni, enti che presentano come ecosostenibili le proprie attività, cercando di occultarne l’impatto ambientale negativo”. Mentre Wikipedia ci ricorda che il neologismo sempre più usato anche nella lingua italiana deriva dall’unione delle parole inglesi green (che vuol dire verde, e verde è il colore simbolo dell’ecologia e dell’ecologismo) e washing (lavare) che richiama il verbo to whitewash (in senso proprio “imbiancare, dare la calce” e per estensione “coprire, nascondere”).

Non c’è quindi molto altro da aggiungere sul significato, ma possiamo invece ricordare qualche buona regola per difendersi dall’ambientalismo di maniera, a partire anche dal report realizzato dalla Commissione Europea nel 2021 da cui è emerso che il 42% dei siti web presi in esame usava annunci ecofriendly ingannevoli con conseguenti pratiche commerciali sleali e sempre la UE nel marzo 2022 ha proposto di aggiornare la disciplina relativa alla transizione ecologica per avere diritto ad una informazione trasparente e veritiera e poter fermare le pratiche commerciali sleali. Nella proposta di direttiva n. 85/2023 la UE parte dalla presa d’atto che “la carenza di norme comuni per le imprese che presentano autodichiarazioni ambientali volontarie alimenta il fenomeno del greenwashing e origina condizioni di disparità nel mercato UE”, si legge nei documenti, per questo l’idea di stabilire norme più specifiche in materia di asserzioni ambientali.

Nel frattempo che la direttiva venga approvata, suggeriamo tre azioni per non credere a tutto quel che viene dipinto di verde:
1) cercare di comprendere la vera mission/filosofia dell’azienda, del brand o dell’evento; a partire ad esempio anche dall’uso delle parole: fate caso quando al posto di “crediti di carbonio”, che si possono calcolare, c’è scritto crediti di sostenibilità o simili, potrebbe voler dire che dietro non ci sia una azione reale di sostenbilità;
2) informarsi quindi con senso critico senza aver paura di chiedere ai diretti interessati: scrivete, telefonate, facciamo sentire la nostra pressione critica;
3) utilizzare anche il vecchio buon senso ricordandosi che per una reale sostenibilità ambientale è necessaria una filiera a 360 gradi, non basta una etichetta.