Le piante Mon Amour V

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intervista Lassini

Siamo alla V parte dell’intervista al dottor Paolo Lassini Laureato in Scienze agrarie e Scienze forestali che ci ha spiegato anche e il perché e il percome degli incendi nei boschi.

Dietro a questo fenomento purtroppo c’è spesso la mano dell’uomo. Ma qualcosa si potrebbe fare…

D- Io so che la cosa migliore sarebbe di fare delle strisce prive di vegetazione

R- Sì ma il tagliafuoco non è il meccanismo principale. Anche questo serve, però queste strisce devono essere gestire.

D- Eh sì, altrimenti la striscia poi si copre di vegetazione

R – Tra l’altro.

Anche questo è un sistema, ma il tema principale, la prevenzione, è la cosa migliore. Cioè gestire il bosco. Nel modo come deve essere gestito. Tra cui c’è anche il tagliafuoco. Premesso questo, il bosco abbandonato è quello che brucia di più. Anche perché i nostri boschi abbandonati invecchiano. E crollano su se stessi senza rinnovazione.

D- I vecchi alberi si seccano…

R- Si ma seccano tutti assieme perché i nostri boschi alla fine della guerra hanno smesso di essere tagliati. Quindi sostanzialmente è come se ci fosse una popolazione che invecchia da sola completamente. Ad un certo punto sono tutti malati, tutti secchi e quindi l’incendio è molto più facile che si verifichi .

La prevenzione è importante, è necessario intervenire nella prima mezz’ora dell’incendio. Dopo è difficilissimo riuscire a contenerlo. Se lei interviene nella prima mezz’ora con gli elicotteri e da terra riesce a contenerlo. La prevenzione si basa moltissimo sull’avvistamento e sull’intervento immediato nella prima mezz’ora. Dopo le scappa via e diventa difficilissimo spegnerlo.

Ecco perché alcune regioni come la Regione Lombardia si sono strutturate negli anni con una rete di volontari molto diffusa e di mezzi aerei che rimangono a disposizione. Al di là dei Canadair serve molto l’elicottero per l’intervento con vari bidoni e mezzi per
spegnere le fiamme.

Quindi il sistema è formato da elicotteri pagati per stare fermi ed essere costantemente a disposizione. Altri pagati per essere disponibili se ci siano emergenze e un migliaio di volontari in giro. Organizzati. La Lombardia da questo punto di vista è un esempio, molto molto buono.

Altre regioni come la Liguria sono in preda un po’ a una sorta di fatalismo. Non so se è una forma di fatalismo o se è una voglia di risparmiare, un non considerare il problema.

C’entra anche l’importanza che Lei dà al bosco. Se tutto il turismo è sul mare e il bosco brucia eh va be’ pazienza.
Ho sintetizzato, non è un giudizio morale.

D- Io da piccolo andavo in Liguria. Andavo ad Albissola e non era male perché c’erano le ceramiche. Venivano dei caricaturisti. E delle pinete nei dintorni. Io amavo molto andarci. Però notavo che da un anno con l’altro ne spariva qualcuna, lì avevano costruito.

R Che anni erano?

D ’50-60.

R- Allora non c’erano legislazioni stringenti.

D – Parliamo degli incendi in Amazzonia?

R- Per quanto riguarda l’Amazzonia, io la conosco poco. Però potrei dirle una cosa che ho imparato recentemente sull’Amazzonia, molto interessante. Che a che fare con gli incendi. Questo me lo diceva un mio studente diventato preside trent’anni fa di una facoltà di agraria in Argentina. E allora mi raccontava delle cose insieme al prof Francesco Sartori una persona straordinaria, dell’Università di Pavia.

Gli indios nei secoli gestivano la foresta, nel senso che facevano dei piccoli buchi correlati con l’altezza delle piante vicine. Perché in questo modo il buco dove poi andavano a coltivare – quando loro andavano via – si richiudeva.

Adesso invece le multinazionali arrivano e tiravano via tutto il bosco. E quando vanno via c’è il deserto. Perché non c’è più questa procedura.

Si usa adesso da noi… si chiama taglia buche. Vuol dire che lei ha le piante – grandi e piccole – e lei fa un buco, lì taglia tutto…

D- Crea uno spazio libero

R- Sì è una bestemmia per uno se si pensa. Però questo taglio, questo diametro deve essere più o meno quello delle piante vicine. Le piante sono normalmente di trenta metri. Quindi questa area è così piccola che il microclima del bosco rimane. Nel buco entra calore e luce ma l’umidità del bosco rimane. Non solo ma anche tutti gli esseri viventi del bosco possono successivamente tornare dentro. Intanto c’è un processo per cui il legno rimane lì. Poi c’è un processo di degrado: gli insetti degradano il legno. Quindi c’è una
microfauna e una microflora che permane. E poi le piante che sono vicine con i semi vanno lì. Questi sono i vantaggi del sistema taglia buche. Non lo dice solo il buon Mancuso che lei conosce.

D- Quello che dice che le piante si aiutano tra di loro. Recentemente Mancuso ha fatto una mostra meravigliosa: Broker Nature. ( NDR – In Phoprestanews ne abbiamo parlato diffusamente). In uno stand veniva distribuito un depliant che riporta la Costituzione delle piante.

R- Mancuso adesso va molto di moda. Ha dimostrato che le piantine che nascono sono aiutate in un qualche modo dalle piante grandi. Con un ‘dialogo di radici’. Prima si pensava che le piante fossero in concorrenza le une con le altre. Se arriva un insetto dannoso una pianta lo comunica all’altra. Torniamo al taglia-buche. Gli indios facevano così. Solo che poi lo seminavano, lo sfruttavano… va bene.

D – Vediamo un altro tema. Che cosa succede quando gli incendi sono spenti. E come si potrebbe rimediare?

R- Ecco quando ero più giovane ero direttore di una riserva naturale in Oltre Po’ Pavese a Menconico verso Varzi vicino al Penice. Come natura non valeva niente perché era di pini monospecifici messi giù dal Corpo Forestale fuori area: lì avrebbe dovuto esserci il faggio. C’era la moda di fare quelle robe lì. Sempre utile comunque. Perché è sempre verde rispetto al pascolo. Ha salvato il terreno in ogni caso non è stato costruito.

Poi Van, che era un entomologo dell’università di Pavia, si è inventato la lotta biologica. Primo esempio di lotta biologica in Italia. Vale a a dire lui ha portato una formica dentro questi boschi convinto che si mangiasse la processionaria del pino (NDR- un insetto altamente distruttivo per le pinete perché le priva del fogliame). Cosa che non si sa se è vera o meno. E’ stato il primo esperimento del genere a livello quasi mondiale.

Allora io ero direttore di quest’area e qui ho imparato moltissime cose. Bisogna sbatterci la testa. Io avevo una squadra di operai contenti del loro lavoro. Avevo mano libera: burocrazia zero. Mi davano i soldi, gli facevo un progettino e dopo, appunto, assumevo gli operai, compravo le motoseghe…
Bastava che non rompessi le scatole. Tutti erano contenti perché assumevo la gente del posto. Curavo questi boschi tirando via le piante che c’erano in più. Spendevo – facciamo in euro – mille Euro all’ettaro per diradare questi boschi.

Portavo giù la legna, i tronchi sulla strada. C’era l’unico commerciante della zona che mi dava un euro al quintale. Quando un bel giorno qualcuno ha dato fuoco a questa foresta.
Dicono che costui ce l’aveva contro la riserva e ha usato della gente un po’ ritardata per appiccare
l’incendio. Queste sono le voci di paese.