Chi dovrebbe pagare il costo del cambiamento climatico?

La storia di Saúl che ha fatto causa alla multinazionale tedesca Rwe  perchè l’inquinamento da loro prodotto contribuisce al cambiamento climatico.
Ci sono notizie che i media mainstream italiani non rilanciano, come quella raccontata da El Pais.

È la storia di Saúl, un contadino peruviano che nel 2015 ha deciso di fare causa presso un tribunale tedesco a Rwe, compagnia multinazionale elettrica tedesca, presunta responsabile dello scioglimento dei ghiacciai della Cordillera Blanca, con il rischio di valanghe che possono travolgere la sua casa, le sue colture e la comunità in cui vive.

La domanda da cui muove la richiesta è molto semplice: “Chi dovrebbe pagare il costo del cambiamento climatico?” La risposta che si è data Saúl Luciano Lliuya, agricoltore e guida di alta montagna di Huaraz, nelle Ande peruviane, è che intanto si può iniziare a presentare il conto a chi inquina di più, come Rwe, risultata essere l’azienda più inquinante d’Europa. Infatti, secondo il registro dell’organizzazione ambientale Client Earth, nel 2017 l’azienda tedesca ha prodotto 106 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 dalle sue attività di estrazione del carbone e ancora nel 2020 l’80% dell’elettricità generata da RWE proveniva da fonti non rinnovabili.

Il messaggio di Saúl è chiaro: “Non importa se hai sede altrove, se rilasci gas che contribuiscono al riscaldamento globale e sono responsabili di ciò che sta accadendo qui sulle Ande: le temperature sono sempre più alte, i ghiacciai si stanno sciogliendo e noi rischiamo letteralmente la vita”.
La causa, ammessa dal Tribunale regionale superiore di Hamm nel 2017 e ora in fase di test, ha il potenziale per generare un precedente fondamentale in materia di giustizia climatica, soprattutto perché la compagnia energetica non opera in Perù.

Nel maggio di quest’anno, più di sei anni e mezzo dopo che Lliuya ha intentato la causa, sostenuto anche dalla ong Germanwatch, un gruppo di giudici, avvocati ed esperti tedeschi si è recato a Huaraz per vedere la sua casa, prelevare campioni dal lago e sorvolare i ghiacciai con un drone. Dopo la visita, ritardata di due anni a causa della pandemia, gli esperti devono preparare un rapporto per determinare se esiste davvero un rischio valanghe che metta in pericolo lo stile di vita del richiedente, come sostenuto dalla difesa. In tal caso, se il tribunale deciderà di andare avanti con il caso, dovrà definire se tale possibilità sia da attribuire al cambiamento climatico e alla società chiamata in causa.

Un processo che potrebbe richiedere anni, ma una sentenza positiva in un tribunale a questo punto del processo invierebbe già un segnale molto positivo e diventerebbe un emblema in materia di giustizia climatica. “Il caso è già un precedente di rilevanza mondiale: chi danneggia gli altri emettendo grandi quantità di gas serra è responsabile del danno, visto l’impatto globale della CO2 qui emessa, anche sotto il concetto di vicinato globale. Se ora possono essere presentate le prove scientifiche anche in questo caso, ciò avrà conseguenze considerevoli per la giustizia, la politica e il mercato finanziario in tutto il mondo”, ha affermato Christoph Bals, direttore politico di Germanwatch.
E diventerebbe una storia esemplare anche per il data base mondiale delle cause climatiche, di cui è promotore il Sabin Center for Climate Law della Columbia University.

[Fonte El Pais]