Rex Nemorensis, il re del bosco

Il Bosco ha un Re. Un Re importantissimo.

È una notte fatta di momenti che non passano mai. Prisco è eccitato e timoroso. All’alba partirà per un viaggio che cambierà la sua vita, senza sapere come.
Da tempo aveva domandato consiglio a un saggio del suo gruppo, aveva trenta o quaranta anni e nessuno nel villaggio era più anziano ed esperto. Gli aveva raccontato di un posto a tre giorni di cammino, dove poteva diventare un uomo importante e rispettato, come aveva sempre desiderato.
L’augure aveva vaticinato: dopo tre giorni di tramonti infuocati, avrebbe preso il cammino in un’alba senza vento e con gli uccelli alti nel cielo.*

Un villaggio chiamato Roma

Prisco sapeva che si poteva fidare. Già in un’altra occasione lo aveva osservato mentre “leggeva” le viscere degli animali per stabilire se e dove costruire il nuovo villaggio. Ci fu una cerimonia sacrificale e l’aruspice aveva annusato, palpato, assaggiato il fegato di un agnello lasciato al pascolo e aveva stabilito che sì, si potevano fermare lì. Se il fegato dell’animale era buono anche il posto era buono!
Il nuovo villaggio stava su un’altura, vicino al guado di un fiume con un’isola al centro, con boschi e ruscelli tutto intorno, ben ventilato nei pomeriggi più caldi da un vento che portava il profumo del mare. Un villaggio che poi si sarebbe chiamato Roma.
Lui e il suo gruppo venivano da nord, dall’Etruria. Ormai stavano lì da tempo e avevano cominciato a ipotizzare di costruire un drenaggio per bonificare gli acquitrini sottostanti. Prisco e altri del villaggio erano fossores, operai specializzati in scavi e lavori idraulici. La perizia dell’ingegneria idraulica romana sarebbe venuta dalla loro esperienza e dopo poco tempo avrebbe realizzato un’opera grandiosa, funzionante ancora oggi: la cloaca massima, che rese salubri quelli che sarebbero diventati i Fori Romani.

I colli romani visti da un etrusco

Arriva l’alba e Prisco osserva il cielo. Gli uccelli volano alti, l’aria è ferma, il tempo buono. Ai piedi delle morbide pelli, cibo, acqua, un’ascia e una corta spada alla cintola. Il vecchio gli aveva detto di camminare per tre giorni verso sud, salire sulle alture che stanno a mezzogiorno, ben visibili dal Palatino, ma che poi, nel fitto della selva che avrebbe attraversato, difficilmente avrebbe potuto vedere per orientarsi. Quando, salendo, l’aria sarebbe diventata più fresca sarebbe stato vicino. Avrebbe sentito il sapore del mare e gli descrisse quello che avrebbe visto dall’alto. Un primo lago, grande, circondato da un profondo cratere (Albano) e da una selva ancora più impenetrabile di quella che avrebbe attraversato nel suo viaggio. Doveva proseguire, lasciarsi sulla destra un
secondo lago (Ariccia, poi prosciugato), per scendere nel terzo lago che si sarebbe trovato davanti.
Un cratere piccolo e profondo, questa volta abitato.

Avrebbe visto genti, templi, fuochi, processioni. Dall’alto avrebbe visto il mare, ma per Prisco era inimmaginabile.

Camminò per due giorni. La selva che attraversò faceva paura. Poche tracce di uomini e solo qualche raro sentiero. La notte accendeva il fuoco per tenere lontani gli animali. Il vecchio gli aveva detto di risalire il corso di un fiume, poi sacro ai Romani, l’Almone, affluente di sinistra del Tevere (ora interrato nel suo tratto urbano), che scendeva da quelli che ancora nessuno conosceva come Colli Albani. All’inizio del terzo giorno, dall’alto di una montagna – il Mons Albanus –, vede contemporaneamente i tre laghi e, oltre la pianura, riconosce il mare, così come glielo aveva descritto il saggio.

Cammina ancora per avvicinarsi alla meta. Il mare a metà giornata diventa un argenteo specchio abbagliante, la linea di costa è netta nelle falcate dei golfi. Prisco rimane affascinato, ma ancora più stupefatto dal tempio in pietra immerso nel Nemus Dianae, il bosco sacro a Diana, sulle sponde del lago di Nemi.

Per scendere dal cratere preferisce aspettare le tenebre e fa come gli aveva detto il saggio: svelle un rametto da un vischio e attende vicino al tempio. Lo avrebbe cercato “Lui”. Chi? Lo saprai. Nella sua mente ricorda le parole del saggio, che aveva aggiunto, dovrai combattere! Prisco è pronto. Aspetta e aspetta ancora. Quando arriva capisce subito, si tratta di un duello, certamente mortale.

Rex Nemorensis: il Re del Bosco

Di fronte ha il Rex Nemorensis, il Re del Bosco sacro a Diana.

Nessuno poteva attentare al bosco, bastava tagliare solo un ramo – il ramo d’oro – e avrebbe pagato con la vita. La sacralità degli alberi era assoluta.
Il Rex Nemorensis in genere era stato uno schiavo in fuga, uno che non aveva niente da perdere, spesso un liberto.

Svellere un rametto di vischio era il segnale, il duello avrebbe dato un nuovo sacerdote al bosco o confermato quello esistente. In ogni caso si sarebbe trattato sempre di un combattente coraggioso e gagliardo, temuto e onorato.
Prisco si mette in posizione di attacco, una mano alla daga e l’altra all’ascia. Con sé non ha alcuna difesa. Il Rex è molto più armato e in più ha uno scudo, fatto di spesse pelli di animale. Il combattimento diventa subito furioso. Prisco è giovane, forte e molto più alto e possente della media. Il suo contendente è ancora più alto, ma sembra meno agile. Prisco cerca di evitare il corpo a corpo, intuendo che in quel caso avrebbe avuto poche possibilità. Punta sulla mobilità delle gambe e sulla destrezza nell’uso dell’ascia. Due o tre volte i suoi colpi si infrangono sullo scudo del Rex, ma niente di più. Il sacerdote aspetta guardingo che Prisco nei suoi movimenti si scopra,
quando accade lo colpisce a un fianco. Prisco tenta la fuga, ma è subito raggiunto.

Il Rex, prima di infliggere il colpo mortale, inaspettatamente si volge verso la folla che si era radunata davanti al tempio. Gli occhi di una giovane bellissima fanciulla incontrano i suoi, è la Dea e lo ferma. Prisco grida con tutta la forza che avrebbe sanato la terra intorno al tempio. Diana annuisce, il Rex ritrae l’arma.
Prisco offre la sua vita, si tratta di sanare la palude o morire, e non ci sono dubbi. Prisco è salvo, ma dovrà portare a termine l’opera promessa a Diana.

Una promessa a Diana

Prisco, con l’aiuto di nuovi compagni, dopo mesi, comincia a scavare un cunicolo. Ha osservato il cratere del lago, valutato i punti più adatti per costruire la galleria, ipotizzato il tracciato, calcolato distanze e pendenze, stimato flussi, considerato tempi, quantificato materiali, ideato paratoie, organizzato le squadre.
Il lago subisce forti variazioni del livello delle acque, per le piogge e le fonti disseminate nei boschi.
Quando l’acqua sale troppo il terreno intorno al tempio di Diana, o addirittura il tempio stesso,
vengono sommersi.

Acquitrini paludosi rendono difficoltose processioni, riti o la semplice presenza degli uomini. Abbassare e livellare le acque è necessario, per questo e per avere campi coltivabili dentro il cratere e disponibilità di acqua al di fuori del cratere.
Prisco è pressato dal Rex Nemorensis.

Ha misurato la montagna, ha fatto realizzare una enorme scala di legno (la coltellatio) che la circoscrive da un lato all’altro del cratere. Sommando tutte le “alzate”, i gradini della scala, e sottraendo i gradini in discesa imposta il dislivello, per avere la pendenza voluta tra l’inizio e la fine della galleria. Misurando la “pedata”, ossia la parte orizzontale dei gradini, ottiene le distanze, che servono per sapere quanto sarà lungo il tunnel e rapportarlo alle pendenze. Un metodo empirico ma molto efficace, che utilizza solo il filo a piombo e delle livelle, nient’altro.
Si comincia a scavare da valle, risalendo la pendenza del cunicolo. In caso le squadre di scavo incontrino delle sorgenti sotterranee l’acqua defluirà in basso, consentendo di lavorare all’asciutto. Scavano tre o quattro fossores, non si fermano mai, lavorano giorno e notte.

Un solo uomo nel fronte di scavo, l’apertura è piccola e non ne entrano di più. Scava con una specie di ascia a punta quadrata. Dietro di lui il lavoro frenetico e massacrante di chi rifinisce le pareti e porta via i detriti. Alla fine saranno diverse migliaia di tonnellate, estratte tutte a mano.
Ben presto, procedendo da valle incontrano una lingua di basalto, scuro e durissimo (la leucitite dei futuri sampietrini). Il lavoro procede a rilento, un metro al giorno, se va bene. Prisco sa che così ci vorranno molti anni di lavoro per arrivare al lago e decide di aprire un fronte di scavo anche da monte. Le difficoltà si moltiplicano perché a monte c’è l’acqua del lago e poi bisogna che i due tunnel si incontrino sotto la montagna, ma non c’è altro da fare.

Scavare scavare e scavare

Dal versante di Nemi si comincia a scavare molto in alto sul pelo dell’acqua. La galleria procede bene perché il materiale è tenero tufo vulcanico, si viaggia a cinque metri al giorno. La galleria dapprima scende ripida per cercare il livello giusto. Si procede, ma bisogna stare attenti a eventuali fonti o risorgive. I fossores cercano di proteggersi gli occhi con delle pelli sul volto, altri colpiscono la roccia senza guardare. Gli incidenti sono frequenti, la fatica immane, i rischi notevoli, la conclusione lontana. Una notte o una mattina, dentro la galleria si perde il senso del tempo, comincia a penetrare acqua. Scende da una parete, risale dal basso. I fossores continuano, ma improvvisamente lo smottamento. A monte il materiale è tenero, in certi punti friabile e il rischio
di crolli è forte. Due uomini rimangono intrappolati. Non si sa se sono sepolti o ancora liberi di muoversi. Gli uomini all’esterno danno l’allarme, alcuni scavano freneticamente a mani nude per liberare i compagni, altri accendono un fuoco e vanno a chiamare aiuto.

Il dio del bosco veglia sugli alberi, ma anche sugli uomini

Dal tempio arriva il Rex in persona, insieme a un manipolo di giovani. Dentro il cunicolo si alternano i più forti e coraggiosi. In poco tempo tolgono il materiale che sarebbe stato portato via in un giorno. Battono sulle pareti, nessuna risposta. Il Rex ordina di continuare. Il suo compito è di vegliare sul bosco sacro, ma anche sugli uomini. Tutti zitti! Lo scavatore più anziano ha infilato una specie di giavellotto nella coltre dei detriti di scavo. Sa che è pericoloso, potrebbe colpire il corpo dei fosseres intrappolati. Ha le lacrime agli occhi quando avverte dei colpi dall’altra parte del lungo scalpello. È il segnale che qualcuno è ancora vivo. Scavano e scavano ancora. Quando salvano i due fossores intrappolati il Rex fa interrompere i lavori. Domani sarà un giorno di sacrifici per ringraziare Diana, la Dea dei Boschi.

Fuori dai due fronti di scavo si sono formati dei piccoli villaggi. I fossores mangiano e riposano lì.
C’è anche una capanna sacra per invocare gli dei. Il lavoro degli scavatori è assurto a una sacralità che il Rex Nemorensis ha voluto assegnare, perché direttamente correlato ai voleri di Diana.

I fossores sono benvoluti e rispettati. Con loro un piccolo esercito di operai meno esperti, ma indispensabili per il compimento dell’opera.
Lo scavo procede spedito e capita diverse volte che non si possa avanzare in linea retta. Si cercano di aggirare i banchi di roccia più dura. Vengono abbandonati i fronti che conducono al basalto, con varianti che producono curve che rendono ancora più impegnativo il calcolo del percorso.
In un paio di punti si scavano dei chiusini in verticale, che mettono in relazione la galleria con l’esterno. La montagna soprastante è troppo alta per estrarre materiali da lì, come si sarebbe fatto in altri casi. Cento, centocinquanta metri di roccia non possono essere superati.

Un anno di lavoro

Dopo più di un anno di lavoro le due squadre sono vicine. Dai suoi calcoli Prisco scommette che ci siamo. Viene ordinato ai fossores di scavare entrambi verso il mare. È un metodo infallibile, perché da una parte ci sarà una galleria cieca che non porta a nulla, ma una delle due intercetterà l’altra. Così succede all’emissario di Nemi. Le due gallerie si incontrano, con una sbavatura di due o tre metri in senso orizzontale e altrettanti in senso verticale. L’eccitazione dei fossores al momento dell’abbattimento dell’ultimo diaframma è tanta. Abbracciare i compagni di valle e di monte è una gioia indescrivibile. I festeggiamenti durano molti giorni e gli ancestrali riti propiziatori lasciano liberi uomini e donne da qualsiasi limitazione, non solo nel cibo e nel vino.

L’idraulica è la nuova tecnologia

Ora bisognava far defluire l’acqua. Togliere il tappo a monte, nella parte più alta dello scavo. Si incontrarono problemi nell’abbassamento del tracciato originario prossimo al lago. Per velocizzare si scava un tracciato alternativo. Ormai tutti sembrano posseduti da una specie di febbre e non vedono l’ora che l’acqua inizi a entrare nella galleria, considerata sacra a tutti gli effetti. Gli ottimati del posto mettono a disposizione i propri giovani per i lavori, tutti vogliono apprendere da Prisco le tecniche dei fossores. L’idraulica è la nuova tecnologia.

Diana nel bosco e nel cuore

Prisco è diventato potente e rispettato, proprio come aveva vaticinato l’augure del Palatino. Il Rex Nemorensis si rapporta a lui da pari. Non è più lo stesso che aveva sfidato tempo prima, ma l’aura di sacralità è immutata e coinvolge direttamente anche Prisco. Molti potenti vogliono sapere come farà l’acqua a defluire, se la galleria non crollerà, se l’acqua potrà ristagnare o tornare indietro… Ai loro occhi l’incontro delle due gallerie nelle viscere della montagna era già sembrato un miracolo. Prisco condisce le sue spiegazioni con alcuni dettagli tecnici dei suoi padri etruschi, senza però allontanare troppo quel pizzico di imprecisa mistica sacrale che lo innalzava a protetto di Diana. I prìncipi lo percepivano e se lo contendevano. Alcuni gli avevano offerto le proprie figlie in matrimonio, ma a Prisco piaceva una sacerdotessa del tempio. Quella stessa fanciulla che aveva preso le sembianze di Diana e lo aveva salvato. Non era solo un senso di gratitudine che non poteva che essere perenne, era anche attratto da lei: oltre a essere bellissima e inconfondibilmente rossa di capelli, aveva un modo così enigmatico di parlare che lui ne era stregato. Accettò per moglie la figlia di un principe, ma rimase sempre legato alla sacerdotessa.
Anche lei si chiamava Diana.

L’uomo ha cambiato la geografia e la storia del territorio: Roma sarà grande perché ha governato l’acqua

Arriva il giorno dell’apertura della chiusa. Prisco ha fatto realizzare l’incile, l’entrata della galleria, e fatto mettere delle paratie per controllare il deflusso delle acque, casse di espansione per ridurne la velocità e saracinesche forate per regolare il livello e impedire l’accesso di tronchi e ramaglie che possano ostruire il cunicolo.
Sono state studiate delle paratoie per bloccare completamente l’entrata dell’acqua, per la manutenzione in sicurezza della galleria. In più dei passaggi tarati, per avere un afflusso controllato, in modo da misurare quanta ne defluisce per irrigare i campi sottostanti al cratere.
Tutto è pronto, la cerimonia può iniziare. I re della Lega Latina ci sono tutti. Gli echi di ammirazione rimbalzano da più parti e il senso di potenza che promana dall’opera è enorme. La percezione che la geografia e la storia di questi luoghi cambierà per sempre è netta, e così sarà.

*
_Eh sì, l’aruspice sapeva per esperienza quello che poi sarebbe diventato il detto “rosso di sera bel tempo si spera”, perché le perturbazioni, alle nostre latitudini, arrivano da Occidente e se la sera il cielo è limpido significa che all’indomani il tempo con ogni probabilità sarà buono. Se la cosa si ripete per qualche giorno significa che l’anticiclone delle Azzorre fa il suo lavoro e devia le perturbazioni atlantiche verso nord.