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Ricordate gli obiettivi della recente COP21? Gli Stati aderenti si sono impegnati affinché la temperatura globale non aumentasse di 2 gradi centigradi rispetto ai livelli pre-industriali. L’ideale anzi sarebbe di rimanere al di sotto di un aumento dell’ 1,5° C. Si riuscirà a ottenere una sostanziale riduzione della temperatura? Una recente ricerca di Abbie Stone (NDR- addetta ai media, divulgazione ed eventi presso il Grantham Institute – Climate Change and Environment) rileva che l’eliminazione graduale di combustibili fossili potrebbe aiutare a limitare l’aumento del riscaldamento globale in questa soglia che, al momento, non è affatto sicura. Cioè potrebbe andare peggio e risultare più alta.
Ma vediamo di esaminare questa importante ricerca che è stata condotta da un team internazionale. Del gruppo – guidato dall’università di Leeds – facevano parte i ricercatori dell’Imperial College di Londra. In pratica è stato utilizzato un nuovo modello climatico per sapere con precisione cosa sarebbe accaduto alle temperature globali se tutto ciò che produce CO2 in modo massiccio – come le centrali elettriche, le automobili, gli aerei, le navi e naturalmente le industrie – avessero cominciato a ritirarsi o a trasformarsi in senso green a partire dalla fine del 2018. Si partiva cioè da un’ipotesi: tutte queste realtà che attualmente emettono molta CO2 fossero gradualmente sostituite con soluzioni alternative a zero emissioni. E’ ovvio che non è possibile effettuare uno shift tutto assieme, però man mano che – ad esempio – un impianto diventa obsoleto lo si può sostituire con uno a minore (o nessuno) impatto ambientale. Diceva Churchill che ‘se c’è una volontà c’è una via’ ma purtroppo sembra che questa determinazione sia latitante. Il professore Chris Smith della Università di Leeds lo dice apertamente. “Ogni anno ritardiamo l’eliminazione progressiva di tutte queste realtà basate sul fossil fuel e questo rende più difficile l’uscita dall’era del combustibile fossile. Di conseguenza è sempre meno probabile la possibilità di mantenere l’aumento della temperatura globale sotto 1,5°C. Adottando la formula suggerita dai ricercatori dell’Imperial College le emissioni di CO2 diminuivano costantemente scendendo a quasi zero in 40 anni. Con questo risultato si avrebbe una probabilità molto alta (64%) di limitare l’aumento della temperatura media globale a solo 1,5° C rispetto ai livelli preindustriali. Il lettore potrebbe rimanere deluso e sconcertato della lunghezza di questa fase di transizione (in sostanza dal fossil al green) ma va tenuto presente che i costi di tale trasformazione sono ingentissimi. L’unica strada praticabile è allora la gradualità. Tanto per cominciare allora bisognerebbe smettere di investire nelle iniziative ad alta emissione di CO2. Per esempio: una nuova centrale a carbone emetterà CO2 per circa 40 anni, il suo normale ciclo di vita. E questo influirà inevitabilmente sul riscaldamento globale. Quindi viene rilevato che sono proprio gli investimenti in attività ad alta emissione di CO2 più il loro sviluppo e manutenzione a rendere più difficile la transizione verso alternative a basse emissioni. C’è da dire che già l’obiettivo dell’15,%°C per l’anno scorso (il 2018) è stato mancato ma se si inverte la tendenza è ancora possibile recuperare. La ricerca comunque non è completamente negativa sul nostro futuro. Infatti, come sappiamo, l’economia globale passerà all’elettrico a zero emissioni mentre gli stessi trasporti dovrebbero passare anch’essi a soluzioni elettriche. Pensiamo solo ai recenti investimenti e ricerche su modelli come la Tesla che ha spinto tutte le case produttrici di auto su questa strada. E’ una vera e propria sfida quella che ci attende per i prossimi decenni (attenzione decenni a non secoli: non abbiamo tanto tempo). Proprio così: la situazione attuale sembra corrispondere al contrario esatto della bella canzone di Ivano Fossati: C’è tempo. No di tempo non ce n’è, o meglio, ce n’è poco. Non bisogna sprecarlo. Occorre abbandonare le tecnologie più obsolete a favore di quelle più avanzate e sostenibili. Ancora una volta insomma il discorso diventa globale e quindi – si osserva nella ricerca – occorre un’attenta pianificazione da parte dei responsabili politici. Spingiamoli allora a muoversi in questa direzione.
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