Islanda, un’irresistibile attrazione, intervista a Renè Biasone

“L’attrazione poi è stata fatale dopo aver viaggiato nel vasto e incontaminato entroterradesertico, visitato i ghiacciai e le scogliere… Mi ha attratto da subito quell’idea romantica di far parte di una società piccola e remota.”
Renè Biasone motiva così la scelta di andare a vivere in Islanda.
Ho conosciuto Renè per caso, volevo fare un’indagine sui parchi islandesi, con informazioni di prima mano: ho inviato una mail al relativo dipartimento di quel paese e, sorpresa! Dopo pochi giorni arriva una insperata risposta, scrive direttamente quello che per noi sarebbe il Direttore Generale, senza filtri di segreterie o uffici stampa. E, ancora più sorprendente, la risposta è in italiano. Incuriosito, domando come mai Biasone conosca così bene l’italiano: è la sua lingua madre. La storia è questa: Renè è nato in Svizzera da genitori italiani ed è vissuto lì fino a 6 anni. Poi i suoi studi lo hanno portato dall’università di Pisa a specializzarsi in varie università, soprattutto dei paesi nordici.
Maturate le esperienze necessarie ha fatto un concorso e ha cominciato a lavorare nel sistema dei parchi islandesi. Anzi, ne è divenuto il “capo”.
Già da solo questo percorso da noi avrebbe dell’incredibile. Chi potrebbe supporre che in Italia ci possa essere una situazione speculare con un direttore apicale del ministero dell’ambiente che sia islandese?
Ma non solo. Chi potrebbe immaginare che quello stesso direttore possa autoassegnarsi un diritto di critica così tagliente come quello che, con assoluta naturalezza, manifesta Biasone? Un personaggio così andava intervistato. Cosa che abbiamo fatto. Ecco la prima parte dell’intervista.
Intervista a René Biasone, team leader del dipartimento delle Aree protette islandesi

D-Innanzitutto, come ha fatto un italiano a diventare capo del dipartimento dei parchi islandesi? Qual è la sua storia?

R- Nel Marzo 2012 sono stato assunto presso l‘Agenzia dell‘Ambiente Islandese come coordinatore del programma di ecovolontariato. Il primo anno è stato molto difficile, per tanti motivi: mi affidarono un programma molto ben radicato nel sistema della protezione ambientale delle Aree protette islandesi, ma era un programma che non aveva mai visto un nuovo coordinatore, a parte il suo fondatore… che non aveva l‘abitudine né di condividerne il funzionamento, né di scrivere molte procedure e dati organizzativi. Anche l’essere uno straniero non mi ha inizialmente reso la vita facile. Il mio superiore appena mi assunse mi disse: “congratulazioni, il meno è fatto, ora devi lavorare il doppio per guadagnarti la fiducia e il rispetto dei tuoi colleghi e delle persone delle altre istituzioni con cui lavorerai”. Aveva ragione e credo di esserci riuscito (anche se credo sia un work in progress eterno) tanto che solo 18 mesi dopo mi hanno offerto la promozione a “capo” del dipartimento. Credo che per dirigere un gruppo di persone così competente, appassionato e con un elevato spirito di dedizione, bisogna innanzitutto saper ascoltare, essere umili per
far sì che si possa imparare e assimilare l’esperienza degli altri, ma al tempo stesso essere determinati, chiari e precisi nel fare delle scelte che coinvolgono altre persone.

In Islanda la franchezza è una dote apprezzata (e temuta) e credo che sia stato il mio asso vincente.

Attualmente nel mio dipartimento siamo in 9 persone, che d’estate diventano 30 con i guardiaparchi stagionali. Contemporaneamente dirigo anche 7 gruppi di ecovolontari per 11 settimane ogni estate, in totale circa 250 persone, tra cui una ventina di leader stranieri (per lo più britannici). A questi si aggiungono, relazioni di lavoro costanti con dirigenti ed esperti degli Assessorati all’ambiente di decine di Comuni, le relazioni con i dirigenti del Ministero dell’ambiente, e di quelli degli altri istituti “cugini” come quelli dell’Istituto di Storia Naturale, dell‘Istituto del Servizio Forestale e dei due Parchi nazionali indipendenti e altri.
Ogni settimana è un turbinio di contatti, meeting, relazioni da scrivere, progetti da organizzare, decisioni da prendere.

Ma tornando a monte, il motivo per cui mi trovo in Islanda è questo:

Amando da sempre i Paesi freddi (sono nato in Svizzera e ho vissuto lì fino a 6 anni – i miei genitori emigrarono nei primi anni ’60 e sono rientrati in Italia nel ‘76) nel 1996 ho deciso di venire in Islanda come studente Erasmus. Allora studiavo Geografia e Storia all’Università di Pisa.
19 anni fa l‘Islanda non era quella meta turistica che è diventata negli ultimi anni, e i suoi paesaggi lunari (chilometri di colate laviche ricoperte di muschio) e quello stile di vita sempre legato all’imprevedibilità del clima, mi hanno da subito attratto irresistibilmente.
L’attrazione poi è stata fatale dopo aver viaggiato nel vasto e incontaminato entroterra desertico, visitato i ghiacciai e le scogliere, vissuto eruzioni (quelle del 1996 e del 2011 hanno provocato anche il Jökulhlaup – scioglimento del ghiacciaio soprastante il vulcano, e conseguente alluvione) e forti terremoti (fortunatamente quelli del giugno 2000 provocarono solo danni, ma non vittime).
Mi ha attratto da subito quell’idea romantica di far parte di una società piccola e remota (all’epoca solo 270.000 abitanti, oggi 325.000 – quindi circa 200 volte meno che in Italia). Nella capitale vivono due terzi della popolazione, è situata su di un’isola semi-deserta, tempestata di vulcani irrequieti, circondata dall’oceano gelido popolato da balene.

D-Che tipo di preparazione specifica ha? Quali sono state le sue esperienze?

R- Mi sono laureato in Storia Contemporanea nel 2000 con tesi in Geografia con 110/110 (senza lode e senza inganni) ho iniziato il dottorato di ricerca in Economia alla fine del 2000.
Nel 2004 ho cominciato a lavorare part-time come ricercatore, per l’Istituto di ricerche economiche.
Nel 2005 ho passato un semestre all’Università Tecnologica di Eindhoven (la città della Phillips) ma una volta ritornato in Islanda ho continuato come ricercatore all’Istituto degli studi sulla sostenibilità.
Ho cercato di “rivitalizzare” i miei studi trasferendo il mio dottorato al dipartimento di Scienze dell’Ambiente e delle Risorse naturali e ho continuato a lavorare come ricercatore (con numerosi contratti a tempo determinato, a volte di pochi mesi l’uno).
Nel frattempo però ho anche messo su famiglia e avuto figli e l’instabilità finanziaria non si confaceva più con le nuove esigenze familiari.
Così, dopo un paio di tentativi mancati per poco, nel 2012 sono stato assunto all’Agenzia dell’Ambiente islandese. Come detto, prima come coordinatore degli ecovolontari nelle Aree protette e poi come team leader e specialista in gestione delle Aree protette islandesi (la regione sotto la mia diretta competenza è quella dell’Islanda orientale).
Negli ultimi anni ho frequentato un corso per diventare “ranger” (guardiaparco). Uno per ottenere la qualifica di ispettore sanitario e ambientale. Anche un master di Diritto amministrativo per specialisti dell’Amministrazione pubblica. Il dottorato l’ho rimesso momentaneamente nel cassetto (ma non dimenticato del tutto).

D- Quali sono le differenze fondamentali tra la pubblica amministrazione di un Paese nord europeo, e specificamente dell’Islanda, rispetto all’Italia?

R- Non conosco dall’interno le pubbliche amministrazioni degli altri Paesi scandinavi ma posso dire che quella islandese è molto molto “essenziale”.
Nel senso che la burocrazia è ridotta al minimo, soprattutto per via del numero degli abitanti, molto limitato. Pochi sono i passaggi tra l’utente-cittadino e il ministro. La mia agenzia e il mio ruolo, sta proprio nel mezzo a queste due figure. Da un lato offre un servizio ai cittadini e alla Natura islandese. Dall’altro mette in atto e fa rispettare leggi del Parlamento, regolamenti e politiche del Ministero. (continua)

 

NB:  il post non è soggetto di sponsorizzazione e/o di affiliazione con i soggetti titolari intervistati, l’intervista e i contenuti sono di pura divulgazione e informazione.