La sostenibilità a Prato intervista a Francesco Marini

Abbiamo avuto il piacere di intervistare Francesco Marino della Marini Industrie di Prato.

La Marini Industrie è un esempio virtuoso di implementazioni, di iniziative legate alla sostenibilità ambientale e sociale.

Abbiamo voluto approfondire quale è stato il percorso intrapreso dall’azienda e qual è la realtà del distretto di Prato.

Dr. Marini di cosa si occupa la Marini Industrie?

Appartengo alla 3a generazione della Marini Industrie, un’azienda tessile che opera a Prato, precisamente a Montemurlo.

L’azienda familiare ha 36 dipendenti e sono il responsabile dell’innovazione prodotto e dell’area commerciale, sono anche presidente di Confindustria Toscana Nord.

La Marini Industrie produce tessuti di alto livello per la moda uomo e donna.

Il nostro mercato principale sono gli USA, esportiamo quasi il 90% della nostra produzione.

Negli Stati Uniti il nostro prodotto è nella moda “contemporary”, un segmento di mercato che è nato negli ’90 del XX secolo, quando si è affermato un abbigliamento di medio alto livello per il mondo di chi lavora, il workwear.

Come Marini Industrie operiamo da 40 anni negli Stati Uniti. Mio padre fu uno dei primi produttori italiani che negli anni 70 iniziò ad andare oltreoceano per vendere tessuti.

La moda USA richiede delle caratteristiche specifiche di funzionalità del tessuto che caratterizza anche il design delle nostre collezioni.

Ora, tra le esigenze espresse dai nostri clienti ci sono anche le richieste relative alle caratteristiche di sostenibilità ambientale del nostro prodotto.

 

Che ruolo ha il distretto pratese nelle scelte di sostenibilità ambientale?

A Prato si fanno tessuti da più di 1.000 anni.  Nell’area, in 10 km quadrati, si concentra la più grande area dell’Europa per la produzione di tessuti.

A partire dalla metà dell’ ‘800 a Prato, si iniziarono a riciclare tutti i materiali tessili, comprese anche coperte militari, divise, e altri capi o oggetti.

Il processo iniziava rompendo i tessuti e riportandoli a fibra.  L’obiettivo era economizzare, allora di diceva “fare un prodotto furbo”.

Dopo aver prodotto la fibra, la si cardava, il cardato riciclato a Prato esiste quindi dal 1850.

In pratica quello che attualmente si richiede a una produzione sostenibile, era una forma di economia circolare

In effetti con l’esigenza di creare un sistema tessile sostenibile e quindi realizzare un’economia circolare, Prato, e tutto il distretto, si è rinvigorito recuperando la tradizione di queste produzioni.

Nel distretto si fa vera sostenibilità perché con il riciclato, non si consuma quasi nulla: si emette poca CO2 per produrre i filati, si tinge di meno.

È vera economia circolare che è entrata nell’alta moda. Prato ha questa specificità: saper partire da un prodotto “povero” per arrivare ad un prodotto di lusso.

 

E la Marini Industrie che tipo di iniziative ha realizzato per affrontare un percorso di sostenibilità?

Abbiamo ritenuto molto importante costruire il nuovo stabilimento in funzione della sostenibilità.

Per prima cosa è autosufficiente nella produzione di energia elettrica grazie a un impianto fotovoltaico da 100 kW.

Tutta l’architettura dello stabilimento si basa su elementi naturali, l’acqua e il verde in particolare, che si manifestano in una fontana con una cascata e varo giardini pensili.

Tutta l’azienda vuole comunicare un’attenzione non solo all’ambiente ma anche al benessere dei lavoratori. Per noi la sostenibilità è anche sociale.

Abbiamo fortemente privilegiato la luce naturale, ogni lavoratore ha uno spazio di lavoro di 3 -4 metri; quindi, stiamo anche rispettando perfettamente le norme Covid.

Lo stabilimento è stato pensato, progettato e realizzato pensando anche a una interazione proficua tra azienda e territorio: infatti nello stabilimento si fanno eventi rivolti alla cittadinanza. Ad esempio, negli spazi esterni abbiamo organizzato concerti.

Per conservare ed evidenziare il nostro know-how stiamo organizzando il nostro archivio storico con un heritage di oltre 50.000 tessuti in modo che possa essere esposto e visibile a tutti.

Siamo convinti che le aziende si debbano aprire ai territori.

L’ azienda non è posto di lavoro “brutto” e alienante ma diventa luogo di conoscenza e cultura.

 

E per quanto riguarda i vostri prodotti?

L’attenzione ai temi ambientali è iniziata 10 anni fa, quando abbiamo introdotto materiali organici dentro i tessuti.

Il lino è il nostro core business, questo tessuto può essere definito organico e sostenibile solo se si acquista materiale certificato.

Inizialmente siamo stati sollecitati dalle richieste dei clienti che ci chiedevano un prodotto con un basso impatto ambientale.

Noi abbiamo sposato questa filosofia, e da allora abbiamo sempre prodotto tessuti che oltre ad essere belli e performanti fossero anche maggiormente rispettosi dell’ambiente.

Ovviamente la fibra è un pezzo del puzzle che poi porta al capo di abbigliamento, ma il dialogo con i clienti ci ha fatto capire che dovevamo andare verso questa strada.

Rimanendo nella tradizione pratese della lana abbiamo anche la linea Reluxury cachemire, che è cachemire rigenerato con materiale da maglie post consumer.

Quindi saper fare, tradizione e cultura si intrecciano creando qualcosa di unico e competitivo sia per la Marini Industrie che per il territorio di Prato

Prato si caratterizza per la cultura del lavoro.

Sono anche presidente del Museo del Tessuto che ha sede in un’antica fabbrica tessile all’interno delle mura cittadine. È un museo che racconta anche la città e a Prato i musei si fanno nelle fabbriche.

Questa area di produzione tessile è unica: nel territorio ci sono tutte le fasi di produzione: tessitura, orditura, finissaggi.

Poche aziende sono a ciclo completo, il distretto di fatto è a km zero.

La conseguenza è che questo legame produttivo obbligatorio e la vicinanza geografica obbligano tutti a condividere informazioni.

In questo senso siamo un distretto molto innovativo e avanti, riusciamo a portare avanti progetti comuni con il vantaggio di tutti.

L’attenzione alla sostenibilità, quindi, sta diventando un tratto comune di tutte le aziende del settore che operano a Prato?

Il processo è lento ma è avviato.

Le aziende di tintoria e di finissaggio,  sono state  promotrici, già 40 anni fa, della costruzione di un depuratore centralizzato per il trattamento delle acque G.I.D.A (Gestione impianti di depurazione acque).

Con questa infrastruttura attualmente si può riusare il 40% delle acque.

Il depuratore inoltre fornisce alle aziende i dati precisi che si possono usare per gli standard richiesti dai capitolati dei loro clienti.

In seguito c’è stato un avvicinamento tra Confindustria Toscana Nord e Greenpeace.

Venti aziende del territorio associate a Confindustria Toscana Nord si sono avvicinate a Greenpeace e hanno pensato di dialogarci nel 2016  a seguito della campagna The Fashion Duel , che denunciava la presenza di sostanze altamente tossiche in alcuni prodotti tessili.

Abbiamo quindi realizzato un accordo con Greenpeace per realizzare la campagna “Detox”, con cui abbiamo tolto 11 sostanze nocive dalle acque.

Bisogna considerare che il tessile è la seconda industria più inquinante al mondo.

In base all’accordo, Greenpeace avrebbe potuto eseguire tutti i controlli necessari per verificare che la campagna Detox fosse attuata correttamente

Da quel momento abbiamo creato il Consorzio Italiano Detox, che ha condotto un’azione di formazione su come iniziare un percorso di sostenibilità per il nostro personale interno e altre aziende del territorio.

Al consorzio oggi partecipano 45 aziende.

Finito il percorso con Greenpeace, oggi siamo in contatto con altri enti che chimicamente controllano le nostre immissioni di sostanze in acqua.

Con il Consorzio, il recupero delle acque, e la campagna Detox abbiamo creato una cultura della sostenibilità e i materiali sostenibili sono entrati nelle collezioni.

Ma avete anche delle certificazioni sui vostri prodotti o processi che dimostrano l’impegno verso la sostenibilità?

Sì, oggi noi delle Marini Industrie non produciamo un tessuto nuovo se non ha materiale sostenibile o riciclato o organico o biodegradabile.

Cerchiamo di valorizzare i contenuti dei nostri tessuti e quindi era necessario essere certificati.

Abbiamo le certificazioni GOTS, GRS, RWS e RCS rilasciate da ICEA.

Il percorso di certificazioni è stato fatto anche da molte aziende aderenti al consorzio di recupero acque.

Con la formazione fatta con Greenpeace, la cultura della sostenibilità è entrata nelle imprese e quindi ottenere le certificazioni è stato facile: eravamo tutti già preparati e competenti.

Un aspetto ancora negativo sulle certificazioni è che non esiste uno standard unico: con la “marea” di certificazioni il messaggio che un’azienda è sostenibile non è facilmente comunicabile.

Manca un vero indice di sostenibilità condiviso: sarebbe chiarissimo e comprensibile dai consumatori, che possono subito riconoscere che i nostri tessuti hanno davvero un basso impatto ambientale (riduzione spreco acqua, non immissione inquinanti nell’aria, suolo e acque, minore produzione di rifiuti).

Cosa pensate di procedere in futuro?

Stimo pensando al LCA (Life Cycle Assesment), al ciclo completo.

Sono scelte di processo che hanno anche una valenza di marketing e differenziazione dell’azienda.

Già oggi il nostro packaging è solo con plastiche riciclate domani arriveremo alla plastica biodegradabile.

Vogliamo fare ricerca sull’eco-design, che di certo è un fattore di competitività.

Quali sono i costi e i benefici di questo percorso verso la sostenibilità attualmente?

Tutti gli investimenti descritti per realizzare la sostenibilità: la riduzione inquinanti, il recupero dell’acqua, la certificazione, l’uso del riciclato come materia prima, danno frutti economici dopo anni.

In prima battuta ci hanno causato aumenti di costi. La sostenibilità all’inizio costa, poi quando diventa strutturale diventa un asset nel margine di prezzo del prodotto.

Resta ancora il problema di fare capire a molti clienti che questi investimenti creano un valore aggiunto sul prodotto riconosciuto dal consumatore.

I brand del lusso sono quelli che maggiormente esprimono l’esigenza di avere una filiera a basso impatto ambientale.

C’è anche un problema di comunicazione sulla valorizzazione di questi aspetti?

In effetti sulla comunicazione e la valorizzazione del nostro prodotto in quanto sostenibile c’è ancora tantissimo da fare, sia verso il consumatore che i clienti e le istituzioni.

Pochissimi aziende hanno fatto bilanci di sostenibilità e utilizzato le informazioni non economiche di bilancio.

Ma adesso anche le banche ci stanno dando maggiore attenzione, e dovremo anche attraverso le associazioni valorizzare gli asset generati dalle scelte di sostenibilità e che riducono il rischio di impresa.

Gli istituti di credito sono ben predisposti quando verificano che le azioni sono reali ed efficaci e non sono operazioni di green washing.

Il nostro obiettivo è di far valorizzare questi asset in maniera tracciabile e trasparente in modo da trasformarli in benefici anche creditizi.

In questo processo per noi è importante considerare anche i criteri di sostenibilità sociale.

Fate azioni specifiche sulla compensazione della CO2 e la Carbon Footprint?

Per ora sulla riduzione della carbon footprint ancora non facciamo interventi specifici, a parte l’uso di fonti energetiche rinnovabili nello stabilimento.

Spesso scegliamo spedizionieri che fanno compensazione delle loro emissioni.

Sono iniziative che vorremo intraprendere in futuro.

Ringraziamo Francesco Marini, per averci fatto conoscere la sua azienda e le interessanti iniziative del distretto di Prato. 

NB:  il post non è soggetto di sponsorizzazione e/o di affiliazione con i soggetti titolari intervistati, l’intervista e i contenuti sono di pura divulgazione e informazione.