Il land grabbing, le migrazioni e l’Africa in svendita


Land grabbing, una forma violenta di saccheggio dell’Africa, che ripercussioni anche nelle nostre tranquille cittadine italiane. Il racconto dal Burkina Faso.

Sono le nove di mattina e la temperatura è di 38 gradi. Faccio due passi e vedo un lucertolone tutto colorato, sarà lungo un metro. Scatto qualche foto.
Con passo furtivo mi avvicino, la visuale si apre e scopro che quello che avevo fotografato con tanta insistenza era solo uno delle decine di lucertoloni che stanno prendendo il sole.
Sono arrivato ieri sera da Parigi a Ouaga, come qui la chiamano tutti. È Ouagadougou, la capitale del Burkina Faso. Sto in un quartiere in cui c’èl’acqua. In tutti gli altri l’acqua non c’è proprio, questo spiega il tumultuoso andirivieni di ragazzini che spingono dei carrettini con un fusto metallico che serve per portare l’acqua.
Il giorno seguente, dopo 6 ore di fuoristrada, ci troviamo a poco più di 200 chilometri. Vengo ripreso dall’autista perché non ho buttato la buccia di banana dal finestrino. Mi spiega che qui le bucce le mangiano le capre, ma più avanti anche i bambini. Sei sempre l’uomo bianco, inconsapevole e portatore di contraddizioni, anche se pensi di stare dalla “loro parte”.
I giorni seguenti siamo ai margini di una boscaglia.

Davanti a noi una pianura sconfinata, piante disposte con rigore geometrico svelano la monocoltura che ha stravolto il paesaggio.

Si chiama land grabbing, significa prendersi la terra. Con la forza dei soldi, più che della ragione. Questo comporta l’acquisto o l’affitto, a prezzi bassissimi o addirittura insignificanti, di ampie porzioni di territorio, situate perlopiù in paesi in via di sviluppo (ovvero poverissimi), da parte di compagnie private. In genere di paesi occidentali, India, o Cina, o paesi medio-orientali, signori del petrolio.
Si utilizzano milioni di ettari quasi sempre per coltivazioni intensive che nulla hanno a che fare con le specie e i metodi di coltivazione locale. Si deviano fiumi e si privatizza l’acqua, cosicché gli abitanti perdono le loro tradizionali fonti di sostentamento e sono ridotti in una condizione di semischiavitù dalle multinazionali con le quali i loro governi hanno stipulato accordi.
L’allontanamento delle comunità locali dalle proprie terre, con la conseguente perdita dei propri mezzi di sussistenza, implica danni irreversibili al territorio, all’ambiente e alla biodiversità. In altre parole si disperde il patrimonio ambientale e sociale di interi territori, spesso estesi come una nostra regione.
Visto questo, capisco meglio perché c’è chi rischia la vita per attraversare un mare che ci divide e che non ha mai visto.