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Ecomondo 2024: gli Stati Generali della Green Economy
Anche quest’anno Ecomondo ha ospitato gli Stati Generali della Green Economy: due giorni con oltre 1500 partecipanti e 100 fra […]
Apri il rubinetto ed esce l’acqua. Molto spesso sappiamo a stento che quell’acqua costa circa un millesimo di euro al litro, che paghiamo la società che la distribuisce. Non ci domandiamo da dove arriva: ovviamente dalle sorgenti. il produttore è la natura! Che non paghiamo, che ci offre dei servizi gratuiti. Sono i servizi ecosistemici, che ci fanno bere e respirare: acqua, ossigeno, piante, biodiversità, impollinazione, regolazione del clima, depurazione delle acque, panorami, benessere fisico… forniscono gli elementi di base al benessere delle nostre vite. Tutto deriva da lì, compresi i materiali per costruire gli oggetti più tecnologici.
I mezzi di comunicazione di massa se ne sono occupati con una certa attenzione da cinque o sei anni. I quotidiani di maggiore diffusione introdussero suggestive tabelle che riportavano le stime del valore monetario dei vari ecosistemi. Valori stratosferici per la barriera corallina o le foreste di mangrovie, meno indagati altri habitat, forse perché meno appariscenti. È il tributo che si paga alla spettacolarizzazione dell’informazione, che – nell’altra faccia della stessa medaglia – produce un positivo coinvolgimento che può muovere la coscienza collettiva. Tanto per rimanere alle stime, il valore dei servizi ecosistemici e del “capitale naturale” mondiale supera i 50 trilioni di dollari per anno.
Ma al di là del valore economico, i servizi ecosistemici nascono dal buon funzionamento e dalla salute degli ecosistemi stessi. È importante essere coscienti che le nostre azioni indiscriminate di sovra-sfruttamento delle risorse naturali, del cambiamento dei principali assetti ecologici a scala globale, e dell’enorme riduzione della diversità della vita sulla Terra, non fanno altro che minare la nostra stessa sopravvivenza.
Per le quali, al contrario, non è stato avvertito fino a tempi recentissimi il senso del limite. È chiaro che su questo versante si incrociano le competenze, le capacità, le sensibilità dei decisori politici che amministrano e assumono provvedimenti in nome della collettività. Da questo punto di vista, anche i settori formalmente più avanzati appaiono aggiogati all’interesse di parte, al tornaconto delle lobby, dalle convenienze contingenti. In ultima analisi la politica è governata dall’economia che segue gli indirizzi della finanza.
I vari incontri e trattati internazionali, per quanto salutati con generoso ottimismo, sono sempre un po’ più indietro di quello che suggeriscono i settori più aperti e sensibili del mondo occidentale, o quelli più tradizionali e sostenibili di certe culture ritenute arcaiche, o degli scienziati che indagano le sovrapposizioni tra economia e ambiente.
Come facciamo a rallentare la corsa alle trasformazioni territoriali senza freno, deregolamentate e basate sul profitto?
E a rendere chiaro che la natura non è una cosa, un materiale disponibile all’uso?
A spiegarlo a quei politici che pensano di essere ambientalisti perché piantano qualche albero?
Come facciamo a rendere chiaro che cielo e terra non sono beni in vendita?
Dobbiamo rifondare il rapporto tra l’uomo e il suo ambiente. Attingere nuovi concetti da antichi comportamenti, oppure capovolgere il moderno assioma antropocentrico e illuminista su cui è fondato il pensiero occidentale e trovare la strada per una nuova antropologia culturale che ci riporti agli ancestrali concetti di sacralità della natura. È necessario inventare un decalogo laico, semplice, diffuso e condiviso, che definisca una nuova etica della terra. E non abbiamo più molto tempo.
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