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La Terra ha quattro miliardi e mezzo di anni, divisi in eoni, che si suddividono poi ulteriormente in ere, periodi ed epoche. La sua storia è scritta nelle rocce.
Noi saremmo collocati nell’Olocene, iniziato al termine dell’ultima fase glaciale della Terra (nota anche come glaciazione di Würm, circa 11.500 anni fa). All’interno dell’Olocene si è svolto l’intero sviluppo storico della civiltà umana, che nel senso comune inizia con la pratica dell’agricoltura, circa 10.000 anni fa.
Ma, messo da parte l’Olocene, ora non si parla altro che di Antropocene. Il termine fu utilizzato per la prima volta negli anni Ottanta dal biologo Eugene Stroemer.
Paul Crutzen (premio Nobel nel 1995 per aver svelato i segreti del buco dell’ozono) nel 2000 annunciò che l’Olocene era da considerarsi concluso: eravamo proiettati in una nuova epoca geologica, l’Antropocene.
Il termine è entrato dapprima nel dibattito scientifico all’inizio del nuovo millennio, per poi dilagare progressivamente anche al di fuori della cerchia degli intellettuali, che a lungo si sono interrogati sull’approvazione del suo uso. E così negli ultimi anni ci troviamo a maneggiare correntemente il termine Antropocene. Nell’uso giornalistico, televisivo e conseguentemente domestico, è diventato un periodo geologico come tutti gli altri, o almeno per molti rischia di diventarlo. Proprio come altri fenomeni scanditi da frequenze misurabili in milioni di anni, come l’impatto di un meteorite (estinzione dei dinosauri), un’attività vulcanica straordinaria, la deriva dei continenti, o l’oscillazione dell’asse terrestre.
Con l’Antropocene stiamo modificando il corso del tempo profondo, quello delle tabelline delle ere geologiche, ma lo stiamo facendo solo da qualche secolo, o al più da qualche millennio. Un cambiamento così repentino che tratteggia da solo la immane straordinarietà dell’Antropocene.
L’Homo sapiens rappresenta il singolo fattore che incide di più sul cambiamento del clima e della superficie terrestre. Il ventaglio dei cambiamenti è a scala planetaria: abbiamo stravolto il ciclo del carbonio, ridotto in maniera drammatica la biodiversità (-80%); contaminato il 75% delle terre non coperte da ghiacci; estraiamo circa 100 miliardi di tonnellate di materiali all’anno; spostiamo più sedimenti di tutti i fiumi del mondo; mutato il clima della Terra. L’uomo – l’anthropos – è diventato una forza geologica, ma è tutto riconducibile all’Antropocene, una parola che sembra quasi normalizzare il nostro tempo. Un periodo come un altro, un’era geologica che sarà presto inserita nelle nuove tabelle delle ere geologiche.
“Siamo nell’Antropocene” e tanto basta! Il tema di una riorganizzazione radicale dei sistemi di produzione, consumo e lavoro impostata secondo i principi di giustizia ecologica, che si portano appresso quelli sociali ed economici, se va bene sono declamati, altrimenti disconosciuti dai nostri governi. Ma noi non ci saremo.
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