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Seconda parte della intervista al dottor Paolo Lassini Laureato in Scienze agrarie e Scienze forestali. Avevamo definito la sua lunga carriera ‘Una vita per gli alberi’.
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Nella prima parte Lassini ha voluto dare la definizione corretta di bosco ed ha illustrato il suo impegno per far conoscere al pubblico più ampio possibile la positiva realtà delle foreste con incontri e dibattiti. Proseguiamo il discorso.
D- Ho preso nota degli incontri.
R- Magari possiamo dialogare tranquillamente noi e Phoresta.
D- Certo. Ci occupiamo anche di agricoltura in particolare abbiamo intervistato Balboni sul suo libro Il Pianeta Mangiato. Noi favoriamo questi incontri tra esperti del campo. Ne abbiamo fatto uno in Emilia Romagna proprio sulla economia circolare. Ma torniamo alla sua carriera.
R- Io sono laureato in agraria. Per prendere una licenza militare ho fatto il concorso per il corpo forestale dello Stato. Ho svolto lo scritto per scherzo, per l’orale mi sono preparato. Tutti mi dicevano: se non sei raccomandato non entri. Invece sono entrato. Sono arrivato al corpo forestale a Milano che allora era un organo abbastanza tecnico, adesso è nei carabinieri, è militarizzato…. Mi sono occupato di montagna. Di valanghe e di pascoli. Poi mi sono laureato in scienze forestali mentre lavoravo perché ero nel corpo forestale e allora si cominciava a parlare del parco nord. Allora io sono detto: ma perché invece di fare questi pascoli che costano lira di Dio non facciamo dei boschi? Perché dal dopoguerra non si sono più fatti boschi nella pianura. Cioè il primo è stato il bosco in città nel 74 ed è stato un esperimento. Poi mi è capitato – per una serie di fatti – di andare in Olanda nel 1984 con Italia Nostra di cui ero consigliere e ho visto che gli olandesi mettevano giù un sacco di boschi in pianura… vabbè loro hanno la pianura. Allora ho pensato: dobbiamo farlo anche noi. Allora nel parco Nord ho cominciato a occuparmi di quello che adesso si chiama ‘forestazione urbana’. Però la parte di bosco vero non del giardino cioè dove le piante hanno le radici nella terra. Ecco: e allora in quel momento nasceva l’Azienda delle foreste regionali per gestire i beni regionali e allora io mi sono detto: questa è l’occasione. L’azienda regionale per molti anni ha avviato un esempio di bosco in città. Anzi no è fuorviante: diciamo il bosco in pianura, la realtà del bosco in pianura. Lei pensi che fino al 1976 in Italia chiunque poteva distruggere i boschi in pianura con la ruspa: sembra impossibile. Non c’era nessun divieto . La regione Lombardia è stata la prima nel 1976 che ha esteso il vincolo dei boschi di montagna alla pianura.
D- A me risultava che c’era addirittura una legge fatta dagli austriaci che imponeva – se si tagliava un albero – di piantarne almeno un altro… Non so se è proprio così.
R – Questo è vero però riferito alla montagna. Nella tradizione della pianura non c’era questa legge. Nella nostra storia dei monaci dall’anno mille in avanti in pianura il bosco è sempre stato fatto fuori. Il bosco dei Gonzaga a Mantova era di duemila ettari e ne sono rimasti duecento. I monaci la prima cosa che hanno fatto è stata bonificare ma non solo. La botta finale (ai boschi) gliela ha dato l’agricoltura industriale; con la meccanizzazione.
D -Sono spariti anche i filari.
R -Nel dopoguerra con la meccanizzazione si sono diffusi macchinari potenti che hanno bisogno di grandi spazi , ha fatto i trattori grandi per muoversi e non perdere tempo. Quindi sono stati eliminati tutti i filari. All’inizio del novecento noi avevamo duecento metri lineari di siepi-filari per ettaro, l’ettaro è un quadrato di cento x cento metri. Ogni ettaro aveva due lati di siepi-filari. Adesso siamo a dieci metri lineari per ettaro: un ventesimo. Quindi la pianura una volta offriva un paesaggio dove ogni visione era delimitata da filari, siepi, un paesaggio agricolo apparentemente boscato.
D – Sì sì anche a Broni (NDR paese dell’Oltrepo’pavese noto per la produzione di vini locali) in cui sono andato anche adesso. Lì lei deve andare sulle colline per trovare qualche bosco.
R – Come nella Franciacorta. Non c’è più un metro quadro libero. Non è una bella cosa. Quindi abbiamo ricominciato a creare il Parco Nord. Per il parco Nord cosa era successo: è un parco enorme – 640 ettari – dove c’è l’aeroporto di Bresso e nel 1975 era stato dichiarato parco e il 50% con una visione avveniristica allora doveva essere bosco. Nell’83 questo parco aveva un presidente staliniano e un vicepresidente della DC anni in cui ancora c’era…
D- Peppone e Don Camillo…
R – Sì però queste due persone erano entrambe brave. Pensavano al bene pubblico Nell’83 la Breda che era proprietaria di quei terreni li voleva indietro perché – diceva – voi li avete presi ma non avete fatto i lavori. Dopo tot tempo se nessuno fa dei lavori vogliamo riaverli. Allora il parco non aveva soldi però mi è venuto in mente: perché non mettiamo lì i boschi che non costano niente: Così blocchiamo l’area. Quindi prima ancora che ci fosse una delibera di approvazione abbiamo fatto venir giù i nostri operai dalla montagna e piantiamo alberi e abbiamo creato dieci ettari di bosco.
D- E sono rimasti
R- L’approvazione amministrativa di tutto l’operazione è stata fatta quando il lavoro era già terminato. Adesso sarebbe un po’ impensabile. Comunque è stata una bella operazione. E quindi si è un bloccato il territorio. E poi è arrivato l’architetto Francesco Borella bravissimo (NDR – Francesco Borella, architetto urbanista e paesaggista, ideatore e primo Direttore del Parco Nord) . E adesso è un parco meraviglioso. Dei suoi 600 ettari 150 sono bosco. Io avrei fatto tutti e 600 bosco ma ci ho ripensato. Hanno fatto bene a far così perché la bellezza del bosco non è il bosco uniforme ma è il bosco intervallato da prati da acqua …se no la biodiversità è molto uniforme. Si impara. Da lì è cominciata la mia carriera. Nell’84 ho diretto per quindici anni un ufficio in un’ azienda che aveva come scopo creare boschi e quindi avviamo creato il bosco di seveso parco nord … abbiamo cominciato a rimboschire le discariche…. Poi nel 98 sono entrato in regione perché far sempre lo stesso lavoro alla fine logora. E qui ho cercato di mettere a frutto quello che ho imparato.
E lo che aveva fatto per far lavorare gli altri cioè far i boschi agli altri. E da lì ho imparato che se lei fa una cosa da solo ne fa una. Se la fai fare agli altri ne fa cento
R – L’unione fa la forza. Comunque è stata una sua collega Elvira Carola (NDR -Dirigente Ufficio Analisi Leggi e Politiche regionali) a fare il suo nome
R Sì era una mia collega nell’azienda regionale delle foreste.
D – Molto disponibile
(continua)
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