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La sfida della biodiversità. Di Andrea Visinoni
Nell’intervento precedente abbiamo affermato che la sfida della biodiversità dev’essere concepita, e affrontata, come una sfida globale in cui il “virtuosismo ambientale di alcuni, per esempio quello europeo, pur lodevole, giocherà solo un ruolo marginale”.
Ma non è marginale il contributo che può dare l’Europa in risorse, idee ed interventi. Sempre che non si concentri quasi esclusivamente, come avviene forse comprensibilmente, nei suoi confini. Le politiche interne, le opinioni pubbliche locali, le conoscenze legate soprattutto al nostro contesto geografico giocano a favore di un intervento “autartico”.
Molti rapporti di organizzazioni ambientaliste, di entità pubbliche settoriali, di politici di area, di programmi TV ed esperti sul tema, sembrano disegnare un quadro ambientale a volte disastroso o almeno in costante deterioro. Le notizie catastrofiche (non mi riferisco agli effetti del cambio climatico che comunque vedremo, in altro intervento, strettamente interconnessi alla biodiversità) sono in prima pagina, se non si parla di invasione di specie aliene o di minaccie alla nostra specie di alcuni organismi (malmignatte, vipere, tracine, vespe, ragni violino e chi più ne ha più ne metta. Uso a proposito i nomi popolari con cui vengono citati nella stampa. Il NYT ha pubblicato da poco un’analisi, di una rivista specializzata, in cui dimostrava che gli articoli dei media sui “ragni” erano per la maggior parte senzazionalisti o addirittura falsi, pochi quelli obiettivi).
In realtà credo che non andrebbero dimenticati nè sottostimati gli sforzi, i risultati, potremmo dire, anche i successi nel nostro minuscolo ritaglio del pianeta Terra che chiamiano Europa: il 7% delle terre emerse, il 5% della popolazione e il 9% del consumo energetico globale.
Anche se non tutti sono d’accordo e i risultati non sono uniformi, in Italia, e in quasi tutta Europa, si può affermare che negli ultimi 30 anni la situazione generale della biodiversità è migliorata, anche sostanzialmente. Pur con tutte le problematiche legate al cambio climatico e all’incursione di specie alloctone, chiamate normalmente aliene o invasive, con diverso impatto sulle nostre originarie specie, parte della biodiversità europea ha riconquistato spazio.
La coscienza e educazione ambientale dei cittadini, specialmente fra le/i giovani, le legislazioni, la diminuzione delle attività venatorie, i migliori rendimenti agricoli o dell’allevamento, in aree sempre più ristrette, hanno permesso l’espansione, la riconquista degli ecosistemi naturali e delle specie che li popolavano. Abbiamo più boschi, più zone umide protette (aree che in un recente passato erano considerate tra le più malsane per la nostra specie), più spazi e paesaggi per la biodiversità.
Negli ultimi 30 anni la copertuta forestale europea è aumentata almeno del 10%, 80 mila ettari si sommano ogni anno. L’Europa non é stata così verde da secoli. In alcuni paesi va ancora meglio. In Italia le aree coperte da vegetazione arborea (non oso parlare di “foreste”) sono aumentate del 30%. Attualmente il 37% del paese è coperto da boschi.
Forse si potrebbe puntualizzare che parte di quest’incremento continui ad esser concepito per lo sfruttamento forestale, con una maggiore omogeneità delle specie presenti nei boschi (anche con l’introduzione dell’abete di Douglas, nordamericano), o che parte di questi siano parzialmente composti da specie “esotiche”, come la robinia, l’ailanto, la paulonia o Acacia saligna. Eppure la robinia è presente oramai da secoli e altre specie che consideriamo autoctone, come il pino marittimo (Pinus pinaster), sono state in realtà introdotte in epoca storica.
Nonostate l’approccio utilitarista o le specie aliene, e una limitata politica settoriale, l’aumento della superficie arborea può esser comunque considerato come un segnale positivo. All’aumento della copertura corrisponde, per esempio, un ritorno di parte della macrofauna. Da alcuni anni è ricomparsa la lince e il lupo è oramai presente ovunque nella penisola. L’ultimo gipeto italiano era stato ucciso sulle alpi occidentali piu di 100 anni fa. Ora da un paio di decenni è tornato su quasi tutto l’arco alpino. Vediamo i fenicotteri a porto Marghera e la cicogna bianca nidificare in pianura Padana o in Sicilia.
È vero che non è sempre così. Per alcune specie la situazione è addirittura peggiorata, anche se in modo non uniforme. La gallina prataiola (Tetrax tetrax), un lontano parente delle gru, è quasi scomparsa in Puglia ma è aumentata la popolazione in Sardegna. L’orso bruno marsicano ha la stessa popolazione di 50 anni fa. Ma negli anni 20 del secolo scorso, prima della sua protezione, era al bordo dell’estinzione mentre era praticamente estinto l’orso bruno sulle alpi italiane (l’orso resta in pericolo per molti fattori, legati quasi esclusivamente, diretta o indirettamente, agli umani: braconaggio, disturbo alla riproduzione, disponibilità di alimenti, con gli effetti del cambio climatico sulla fruttificazione del faggio, consanguineità, ecc). Per altre, come l’ululone italiano (Bombina pachypus), endemico, paradossalmente la crescita di aree con copertura forestale sembra aver ridotto il successo riproduttivo.
Secondo alcuni dati vi sarebbero in Italia più di 250 specie di animali a rischio.
Ma 40 anni fa le specie a rischio erano probabilmente più del doppio. Il grifone era presente solo in Sardegna. Estinto in Sicilia. Ora, anche con programmi di ripopolamento, è presente in molte regioni. In Friuli c’è una popolazione superiore ai 150 individui.
[continua]
*Phoresta pubblica una serie di post sulla biodiversità a cura di Andrea Visinoni, ricercatore associato e specialista in biodiversità del museo di storia naturale Noel Kempff Mercado, dell’Università UAGRM di Santa Cruz de la Sierra- Bolivia.
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