Il finocchio e il vino: come non farsi infinocchiare

E pure stavolta ti sei fatto infinocchiare!

L’aria è sempre appiccicosa, anche se un po’ rinfrescata. Il ponentino del pomeriggio, che arrivava dal mare, era calato da un pezzo.

Aristide esce dalla fraschetta dove dopo cena aveva bevuto un ultimo bicchiere con gli amici, raccontando ancora una volta le meraviglie di Roma, un privilegio sconosciuto a quasi tutti i suoi compagni, mai usciti dal paese natio.

Il carretto è pronto, il mulo riposato e il carico di dieci barili fissato bene. Fa un rapido controllo, riempie di olio per i mozzi il corno, che è pure contro il malocchio e mette un po’ d’olio anche nella lanterna, per rischiarare il buio della notte.

Come sempre si accinge a partire. Porta il vino da Frascati per arrivare a Roma alle prime luci dell’alba.

Carrettiere di mestiere, burbero di carattere, ma solo per nascondere una timidezza innata, che l’esperienza nel suo lavoro occultava bene. Del resto parlava quasi solo con gli amici dell’osteria, con il mulo e con Gina, il cane volpino a cui aveva voluto dare il nome di sua madre.

Dimenticare qualcosa di importante per il viaggio

È partito da poco, ma la moglie si accorge subito che si è dimenticato di prendere una cosa essenziale. Lo rincorre, sa dove trovarlo.

Aristide prima di ogni viaggio fa una deviazione passando davanti alla chiesa della piazza. Invoca la grazia della Madonna perché il suo viaggio non sia sfortunato.

Stava per esserlo, ma la moglie ripara subito, e gli porge i finocchi.

Arrivare a Roma

Aristide si accomoda sulla panchetta, apre il soffietto, o mantice, la cappottina che ripara dall’umido notturno e si sistema come può per prendere sonno.

Il mulo conosce la strada e il resto lo fa Gina, la cagnetta. È giovane e soprattutto all’inizio del viaggio è euforica, perciò salta continuamente dal carretto alla strada. Si vede che si diverte, ma il suo divertimento più grande è mordere i garretti del mulo quando rallenta troppo o addirittura si ferma. Del resto sa che è autorizzata, perché questo è proprio il suo compito. In questi casi Aristide si sveglia perché non sente più rumore, e a far riprendere il cammino al mulo ci pensa il volpino.

La discesa dai Castelli Romani in qualche punto è ripida, bisogna frenare, stare attenti che il mulo non si faccia male. Il viaggio lo fa in carovana, con altri carretti a vino, insieme per difendersi meglio dai briganti.

Da oriente si vede un primo chiarore, un’altra oretta e ci siamo. Aristide sta per entrare in città. Chiude la cappottina e prende le briglie. In lontananza gli alberi dei viali, qualche rumore mattutino, ma è soprattutto l’aria che annuncia la città, è leggermente acre, sa come di polvere bagnaticcia, calda, protettiva.

Aristide passa attraverso gli archi delle mura romane e subito si trova davanti San Giovanni, una delle basiliche più imponenti dopo San Pietro. Istintivamente si fa il segno della croce e ringrazia la Madonna.
Anche questo viaggio è andato bene.

Il vino di Frascati

Aristide ha diversi clienti e stamattina comincia da un oste affabile, sì, ma con una moglie che non gli è tanto simpatica.

Arrivato, l’oste lo aspetta sull’uscio dell’osteria. Parlano del tempo e di come è andato il viaggio. L’oste prende dell’acqua per il volpino. Aristide ricambia con un finocchio, poi fa assaggiare il vino all’oste, che lo trova buonissimo.

Così oltre ai soliti due barili ne prende anche una botticella.

Aristide risale sul carro e parte per fare le altre consegne di giornata.

Non è ancora troppo lontano quando sente le urla dell’ostessa. Rimprovera il marito come una furia: “Ti sei fatto infinocchiare pure stavolta!”.

Eh sì, perché il finocchio svia il gusto e dopo averlo mangiato qualsiasi vino sembra un’ambrosia. Ecco perché la moglie del carrettiere lo aveva rincorso a perdifiato.