Le piante mon amour 6, la filiera del bosco

Paolo Lassini Laureato in Scienze agrarie e Scienze forestali ci ha rilasciato una lunga e interessante intervista in ambito forestale. Nella precedente intervista ha raccontato anche di un incendio in un bosco di una riserva naturale di cui era direttore. Le interviste precedenti le potete trovare nei precedenti post: Le piante mon amour, Le piante mon amour 2, La piante mon amour 3, Le piante mon amour 4, Le Piante mon amour 5,

D- La polizia non ha mai scoperto chi è stato a provocare l’incendio

R Probabilmente non hanno mai voluto scoprirlo. Però la leggenda (cioè che fosse una vendetta) è verosimile. Questi 70 ettari di bosco erano di 150 proprietari. Davanti alla devastazione dico: bisogna rimboschire tutto. Devo darmi da fare. Chiamo gli esperti nazionali come fossero gli universitari e questi mi avvisano: guarda per tagliare questo bosco  ci vogliono 350 mila euro. Tagliarlo e portare via tutto. Poi ce ne vorranno altre 350 mila per rimboschirlo. E io accetto, visto che avevo dei buoni agganci in regione. E allora dico: bisogna trovare dei soldi. E comincio a cercarli. Però io lavoravo a Seveso dove c’era la Metastan che faceva pannelli truciolati e lì c’era un ragioniere che conoscevo. Gli parlo e gli spiego: Io ho un bosco bruciato. E lui mi risponde: quel materiale mi interessa. E io gli ribatto: ma è bruciato. Lui insiste: intanto, non è tutto bruciato e poi nei truciolati metto dentro tutto.  Viene su a vedere. Prende il coltellino e fa un taglietto su un tronco. Dice: E’ bruciato neanche mezzo centimetro: dentro è sano. Va bene – dico io – allora cosa possiamo fare?. Allora lui dice: un euro al quintale glielo posso dare. Mi spieghi bene,  dico io,  vuole un euro al quintale? No risponde lui glielo do io un euro al quintale.  E io: devo tagliarlo? No glielo taglio io: un euro al quintale in piedi. Io pensavo: c’è qualcosa che non capisco. Comunque gli rispondo:  va bene e mi do da fare subito.

In sintesi: i miei esperti dicevano che ci volevano 350 mila euro per tagliare questo bosco. Quindi se io tagliavo spendevo mille euro per ettaro, c’era invece una persona che mi prendeva la legna già tagliata e me la pagava un euro a quintale. Ho capito ma io avevo speso un sacco di soldi. Questo qua viene qua e mi dice: mi prendo  il bosco bruciato.  Lo taglia lui e mi paga un euro al quintale. C’è qualcosa che non quadra. Cos’è che non quadrava? Ho imparato che cos’è l’economia di scala. Cos’è il commercio, cos’è la filiera. Questo qua che è arrivato ha gestito un mare di legno ma era in un momento in cui gli mancava questo materiale,  aveva bisogno di tanto legno, sapeva già dove usarlo e mi dice:  Mi interessa. Il commerciante locale mi strozzava. I miei operai erano bravi ma ci mancava solo che tagliassero con l’accetta. Usavano lo motosega. Ecco, poi è arrivata in appalto una ditta del trentino con teleferiche, i camion,  la cucina da campo. Sono stati lì tre mesi hanno tirato le teleferiche cioè hanno meccanizzato tutto.  Hanno lavorato bene,  hanno fatto  qualche danno ma è normale poi se ne sono andati via. E quindi io ho imparato cos’è la filiera. Ecco ancora adesso l’economia nazionale è basata su quello che io facevo prima. Non sulla filiera. Cioè l’economia nazionale che dà i soldi per le foreste dà i soldi come li spendevo io. Magari un po’ più organizzati ma senza che ci sia una filiera senza un’economia di scala. Economia di scala vuol dire che non ha senso che io vado a tagliare un pezzettino di bosco bruciato.

D – Come l’acquisto del carbone. Se ne prendo una piccola quantità pago in proporzione molto di più che se ne prende una grande quantità

R –Certo. Andiamo avanti. Allora io ho detto adesso  ho  70 ettari liberati, bisogna rimboschirli,  è importante. Allora la prima cosa che ho fatto è stata di mettere giù dei semi perché non lo fa nessuno. Abbiamo seminato sulle ceneri perché appena arriva l’acqua le piante crescono. E’ andata benissimo. E la cosa più bella è che è diventato tutto verde. Lei non sa cosa vuol dire vedere la gente che passa e che fino al mese prima vedeva il bosco bruciato e poi lo vede verde. E’ come colorarlo con la vernice. E’ già un effetto magnifico. Peccato che abbia fatto una cosa sbagliata. Ho preso le sementi al consorzio agrario e quindi  ho fatto una selezione agronomica. E’ come se avessi seminato il mais anziché il mais selvatico. Ho imparato anche quello. Altra cosa. Quel legno che ha portato via il ragioniere  ci ha fatto ricevere 75.000€. Questi 75.000€ sono stati distribuiti ai 150 proprietari. I 150 proprietari che manco io vedevo prima di prendere delle iniziative, tanto erano sempre d’accordo.  Il sindaco li ha riuniti per  distribuire loro i 75.000€. Anche quelli che erano in Argentina. Gli abbiamo mandato  atti di notorietà. Falsi. Sono andati dal sindaco. Anche questa è una cosa che si impara. Ci dev’essere l’interesse  perché la gente si muova. Dopo di che abbiamo incominciato a rimboschire. Io ho assunto cinquanta operai con cinquanta mila euro disponibili e abbiamo lavorato con una soddisfazione enorme. Abbiamo provato le varie tecniche: abbiamo provato a seminare, a non fare niente, insomma abbiamo provato varie ipotesi: dove c’era il bosco bruciato non tagliato a non fare niente.  Poi abbiamo provato dove non c’era niente da seminare, a metter giù  i semi, poi abbiamo provato a mettere le piante a radice nuda, che costano niente. Infine abbiamo provato a mettere giù le piante in vasi come Dio comanda che costano tanto. Ecco: dopo sono passati trent’anni.  Adesso il risultato è quasi uguale dappertutto. 

D -Allora valeva la pena di non fare niente

R- Non è così semplice. Bisogna ragionare: dopo l’incendio che cosa si fa? Intanto ho imparato che dove si semina il risultato è quasi uguale a mettere le piantine. Il costo però è 1 a 10. Allora il problema qual è? La lezione che ho ricavato: non è vero che non bisogna fare niente. Se noi avessimo fatto così che cosa sarebbe successo su queste aree? Il motocross, le discariche abusive… sarebbe stato lasciato alla natura o all’uomo? Occorreva la sorveglianza.  I cinquanta operai presenti hanno innescato un turismo, arrivavano persino delle scolaresche a vedere che cosa era stato fatto. Quindi il controllo dell’area è rimasto. E questo è essenziale. L’altra cosa è che il controllo dell’area è rimasto anche come monitoraggio. Quindi noi possiamo dire che è presente. Se lo avessimo abbandonato non ci sarebbe stata nessuna verifica. Nessuna avrebbe saputo più niente. Adesso possiamo dire questo. 

D-  Vedere che cosa germoglia perché comunque ci saranno state delle radici …

R – Non fare niente se non ci sono frane. Se ci sono bisogna intervenire subito. Fare un intervento intensivo. Semina l’erba, metti giù le piante e  sta a vedere quello che succede. E’ molto probabile che in questa grande area ci siano degli spazi, dei nuclei di rinnovazione chiamiamoli così dove  c’è sostanza organica, c’è umidità nelle vallette. C’è una buona rinascita,dove arrivano i semi. Perché se lì i semi non ci sono e l’area è molto grande… magari arriva la robinia… (NDR – pianta della famiglia delle Fabaceae, a volte invasiva) arriva quello che non deve arrivare. Quindi si tratta di vedere quello che succede e decidere immediatamente  quello che si deve fare. Questo però vuol dire usare la logica. Il ragionamento: ‘Stiamo a vedere e poi ci penseremo’ è fallimentare in partenza perché devi avere già pronte le emergenze. Adesso non mi pare stanzino molti soldi.  E’ sbagliato perché non basta dire tagliamo e poi vedremo. Bisogna avere un nucleo pronto.  Insomma ho imparato molte cose. Per cui se dovessi rifarlo adesso non farei 70 ettari di rimboschimento che comunque sono andati bene. 

D- Adesso l’area è come prima?

R- No, ci vuole tempo. Cinquant’anni come  minimo, forse 70. Comunque è ancora monitorato il sito.

D- Lei però non se ne occupa più

R – Ci sono i miei colleghi. 

Termina qui la lunghissima intervista al dottor Paolo Lassini. Lo ringraziamo calorosamente per le numerose e utili informazioni che ci ha fornito.