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Rete amazzonica
“Questo è Internet!”, Massimo Di Felice (antropologo, professore dell’università di San Paolo del Brasile, un italiano che insegna lì, dove […]
La sfida della biodiversità. Di Andrea Visinoni
È vero che abbiamo più strade, più macchine, anche più insetticidi, ma non si può ignorare che 40 anni fa andava peggio. In quasi tutti i paesi europei è diminuito il numero dei cacciatori. In Italia sono passati dai 2 milioni del 1980 ai 600mila di oggi e, seppur ancora troppi, le normative piú rigide, le migliori conoscenze e coscienza ambientale di molti di loro, hanno contribuito a ridurne l’impatto.
È un dato incontrovertibile che dal 1990 ad oggi, la superifice di aree terrestri e marine protette, nelle loro varie tipologie, è passata dal 7% a quasi il 30% del territorio nazionale. Situazioni simile sono condivise con quasi tutti gli altri paesi europei.
Fare un giro per queste aree, per chi ha conoscenze o stimolo alla scoperta della biodiversità, può facilmente dimostrare come la situazione ambientale sia migliorata. Chi frequentava ambienti naturali già vari decenni fa, sa che ora si possono osservare molte specie che prima apparivano solo sporadicamente, e non mi riferisco a quelle che negli ultimi anni, per una o altra ragione, hanno ampliato l’habitat, come l’airone guardabuoi o l’ibis sacro.
Non sono assenti le minacce. In aree relativamente ristrette, spesso oggetto di sfruttamento intensivo per un successo economico specifico (pensiamo alla zona del prosecco nel nord-est) o legate all’espansione turistica, il rischio per molte specie locali, soprattutto endemismi, può esser accresciuto. In particolare gli ecosistemi d’acqua dolce, con i loro organismi, principalmente invertebrati, sembrano particolarmente minacciati.
Eppure, con tutte le eccezioni possibili, la senzazione è che le cose vadano meglio per l’ambiente rispetto al passato. Investiamo risorse, pubbliche e private. L’interesse per il tema convoca molte persone. Pur incombendo la minaccia del cambio climatico o delle specie aliene (di cui parleremo nel prossimo intervento), l’impressione è che ci sia più natura, più rispetto per essa. Più partecipazione sul tema.
Nonostante questo, in Europa e per l’Europa, gli appelli, le grida al disastro ambientale continentale si moltiplicano.
Va bene? È giusto?
Ho l’impressione che sebbene sia ineludibile non abbassare la guardia, e le minaccie alla biodiversità siano comunque presenti, questo contribuisca ad un disequilibrio delle risorse investite dalla UE, umane ed economiche, nel contesto ambientale globale: molto, troppo, dentro la UE. Poco, molto poco, per il resto della Terra. Un po’ come quando ci si mobilita in migliaia per pulire una spiaggia del Tirreno o per salvare un delfino, mentre nel resto del mondo si procede a passo spedito verso lo sterminio della biodiversità: dati dell’altro giorno del WWF affermano che in 50 anni si sono perse il 73% delle popolazioni di vertebrati monitorati con punte del 95% in Centro-Sud America e Caribe, quindi la regione con la maggior biodiversità della Terra. Pochissimi i dati sugli invertebrati, ma la situazione è probabilmente peggiore.
Forse per la conservazione della biodiversità dedichiamo e destiniamo, ripeto comprensibilmente per vari aspetti, troppe risorse per salvare il nostro spazio più prossimo. Ma non ci salveremo dal collasso dello spazio globale. Come una nube tossica non si ferma davanti ai confini di uno stato, la sconfitta della biodiversità terrestre , al margine del grande interesse per alcune, poche specie bandiera, sarà una disfatta complessiva e non servirà a molto aver salvato il “nostro” ululone dal ventre giallo se nel frattempo si saranno estinti il 50% degli altri anfibi nel resto del mondo.
Dovremmo tener presente che, nella sfida globale, al di fuori dell’Europa e altre regioni quasi tutte collocate in climi temperati, non solo non esiste alcun segnale di miglioramento, di mitigazione d’impatto, ma è invece sempre più consolidato un percorso verso il disastro, il crollo ambientale. Non un’eventualità da evitare, ma un’emergenza in atto da tempo.
Mentre scrivevo parte di quest’intervento, nella sola Bolivia, nel corso di un mese, sono bruciati 10 milioni di ettari di foreste e savane amazzoniche e del chaco (un terzo dell’Italia, le dimensioni del Guatemala o Portogallo, più di 3 volte la grandezza del paese sede della UE, il Belgio). In Europa, incluso nord Africa e medio oriente, nel 2023, durante tutto l’anno, sono bruciati 500mila ettari, di cui il 26% boschi. Ecco: per avere una dimensione della sfida dovremmo non dimenticare questi dati.
*Phoresta pubblica una serie di post sulla biodiversità a cura di Andrea Visinoni, ricercatore associato e specialista in biodiversità del museo di storia naturale Noel Kempff Mercado, dell’Università UAGRM di Santa Cruz de la Sierra- Bolivia.
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